Alla ricerca di sé e dell’amica perduta
Chi ha già avuto la possibilità di confrontarsi con il cinema di Shatara Michelle Ford sa che i suoi film esplorano la memoria, la percezione, l’alienazione, l’isolamento, l’America e l’americanità, interrogandosi al contempo sui sistemi di oppressione attraverso personaggi che devono vivere o sopravvivere al loro interno. Nel pluridecorato e acclamato dalla critica esordio Test Pattern ha raccontato della relazione di una coppia interrazziale messa alla prova dopo che la donna di colore viene aggredita sessualmente e il suo fidanzato bianco la porta da un ospedale all’altro alla ricerca di un kit per lo stupro.
Nella sua opera seconda dal titolo Dreams in Nightmares, scelto come film d’apertura della 39esima edizione del MiX – Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer dopo l’anteprima nella sezione “Panorama” della 75esima Berlinale, la regista e sceneggiatrice afroamericana continua a portare avanti il discorso e ad affrontare le tematiche a lei care con una storia tutta al femminile che ci porta al seguito di tre giovani donne nere e queer che intraprendono un viaggio attraverso il Midwest americano per ritrovare un’amica che sembra aver fatto perdere ogni traccia di sé.Le prove che Z, Tasha e Lauren affrontano mettono in discussione le loro priorità, incrinando equilibri personali e convinzioni radicate anche in persone estremamente libere.
Con Dreams in Nightmares l’autrice rielabora a suo modo il modello del road movie a stelle e strisce, quello che tanti cult e pietre miliari della cinematografia ha partorito nel corso dei decenni. Lo fa approcciando il filone e i suoi stilemi in maniera intima e al contempo fortemente politica, unendo all’amicizia, ai legami e all’imprescindibile metafora del viaggio come ricerca e riscoperta di sé, il racconto della precarietà e della forza delle comunità marginalizzate black, trans e queer. Il tutto prende forma e sostanza attraverso un tour fisico ed emozionale che passa per motel, locali e km d’asfalto, in un Paese pieno zeppo di contraddizioni che tra sogno di libertà e incubo di oppressione flirta sempre più pericolosamente col secondo. Brave e ben dirette tutte le interpreti (Denée Benton, Dezi Bing e Sasha Compere), capaci di trasmettere con le rispettive performance questo magma incandescente. A interrompere il flusso l’eccessiva dilatazione della timeline, con un minutaggio che superando le due ore va ben oltre le effettive esigenze narrative e drammaturgiche del racconto. A risentirne è in primis la fruizione, appesantita da un ritmo fin troppo blando per i canoni del road movie
Francesco Del Grosso