A werewolf in São Paulo
Vincitore del Premio della Giuria al Festival di Locarno 2017, As boas maneiras di Juliana Rojas e Marco Dutra si rivela un interessante opera cinematografica, che ha il suo punto di forza nel miscelare i diversi generi scelti per corroborare un tema horror alquanto logoro. E l’attrazione verso questo particolare (s)oggetto filmico, seppure imperfetto nel complesso, aumenta perché rileva come in Brasile alcuni autori cercano di affrontare nuove strade espressive senza rinnegare le proprie radici culturali. La fascinazione per il cinema mainstream hollywoodiano, che ha infettato malamente molti registi brasiliani e ha dato origine a brutte duplicazioni, in questo caso ha dato un buon risultato.
Seguendo un poco alcuni spunti del romanzo “The Werewolf of Paris” di Guy Endore, che è alla base di molti film sull’uomo lupo e fondamentalmente de L’implacabile condanna di Terence Fisher (1961), i due registi, che hanno composto anche la sceneggiatura, e che tornano a lavorare insieme dopo Trabalhar cansa (2011), vogliono con questa pellicola innestare, sul tema della licantropia e l’implicita maledizione, altri generi e, soprattutto, riservare una particolare attenzione al presente sociale del Brasile. Seppure nell’assunto sia una storia prettamente horror, con qualche scena con vistosi guizzi orripilanti (anche in stile Alien), le atmosfere scelte per il racconto tendono molto più al fantastico, come fa Guillermo del Toro con le sue favole filmiche. As boas maneiras diviene, quindi, una favola 2.0, in cui il manieristico tessuto della fantasiosa idea di base viene “rinvigorito” con il concreto. Quello che conta maggiormente, per la Rojas e per Dutra, è l’ambientazione in cui si svolge questa “novella gotica”, e il terrore diviene un semplice mezzo narrativo e visivo per analizzare e raccontare la realtà quotidiana. E l’intenzione dei due autori, che probabilmente potrà risultare spericolata e bislacca, è quella di realizzare una fiaba filmica adatta anche per gli spettatori bambini. Su quest’aspetto è interessante notare come il manifesto, copertina cartacea del film, è stato realizzato come un disegno infantile, e l’immagine mostra una piccola zampa lupesca su una delicata mano umana. Sunto perfetto per mettere in evidenza, in un solo disegno, la delicatezza della storia e l’espressione fanciullesca che avrà il ritmo della vicenda.
Però questo è solamente l’aspetto esteriore di As boas maneiras, perché al proprio interno i due registi si sbizzarriscono maggiormente. L’horror, genere basso e di consumo, e di facile presa emozionale, viene elevato e limato attraverso un attento lavoro sull’immagine e sulla narrazione. La fotografia, realizzata da Rui Poças, non è mai ruvida, ma tende sempre verso colori levigati, che trasportano il reale urbano in una dimensione di sospensione. E anche la narrazione diviene elastica attraverso i diversi generi utilizzati. Quello che spicca e ammorbidisce l’assunto horror è l’atmosfera da commedia, con personaggi sempre descritti in modo ironico, oppure situazioni canzonatorie, come ad esempio la mendicante che canta come in un musical (strofe che decantano quello che sta accadendo in quel momento). L’elemento comico, soluzione “eccentrica” e pericolosa innestata con il genere opposto, ricorda la stessa tecnica usata da John Landis per Un lupo americano a Londra (1981), in cui il folclore viene rispettato ma punzecchiato con il sarcasmo. Però Rojas e Dutra inseriscono anche un forte accento mélo, “sporcato” a sua volta nella descrizione di un amore omosessuale tra due donne. Tema “scandaloso” in una società maschilista come quella del Brasile, e reso più “osceno” con l’erotica scena d’amore tra le due donne. Infine, in quest’attento lavoro sulla contaminazione, il duo autoriale aggiunge un aspetto fumettistico per descrivere come Ana sia rimasta incinta. Un improvviso squarcio irreale già utilizzato come ossequioso omaggio alle storie cartacee dallo stesso Quentin Tarantino in Kill Bill Vol. 1 (2003).
E su queste variegate contaminazioni visive e narrative, si aggiunge la forte presenza della dualità, un esercizio giocoso e intellettuale che struttura maggiormente la pellicola. Innanzi tutto il film è diretto da un duo, composto da una donna e un uomo. Successivamente c`è la figura del licantropo, perno della vicenda, che è già di per sé un personaggio doppio, jeckyliano, che dentro la propria normalità nasconde il germe malefico di un mostro. L’altra duplicità risiede nella divisione della novella in due capitoli, che potrebbero essere già due macro-storie distinte. E in queste due parti, le protagoniste sono due donne. Due figure femminine di estrazione sociale differente e di razza diversa. Ana è ricca e bianca, mentre Clara è nera e povera. E il dualismo si concreta, infine, attraverso la scomposizione della città di São Paulo che viene rappresentata, nella sua immensa urbanizzazione, con una netta separazione tra i quartieri benestanti e le favelas periferiche. Due mondi vicini ma separati da un fiume (proprio come in molte favole).
Roberto Baldassarre