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Amor

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VOTO: 9

Memoria liquida

Tutte le acque sono color dell’annegamento
Emil Cioran, “Sillogismi dell’amarezza”

Documentario? Forse più poema visivo. In un’edizione connotata anche dal panel “L’immagine situata. Pensieri e pratiche d’archivio tra femminismo e decolonialità”, moderato da Marco Bertozzi e Alina Marazzi (il cui nome, non a caso, si è affacciato più volte nella mente di chi scrive, durante la visione che v’andiamo a suggerire), l’Unarchive – 2° Found Footage Fest ha riproposto questo film che tanti consensi sta raccogliendo nel circuito festivaliero, Amor di Virginia Eleuteri Serpieri. Ennesima proiezione, quindi, il 31 maggio al Cinema Intrastevere di Roma. Noialtri avevamo già avuto modo di confrontarci con tale opera cinematografica, ma possiamo ben immaginare l’emozione del pubblico in sala, poiché come si accennava in apertura trattasi in primo luogo di una straordinaria esperienza visiva ed emozionale.

“Amore liquido” potremmo anche dire, parafrasando Zygmunt Bauman, sebbene qui gli orizzonti esistenziali siano portati anche oltre. Nella sua natura indubbiamente fluida, cangiante, il film di Virginia Eleuteri Serpieri si muove intorno a suggestioni decisamente personali, in cui confluiscono un fiume e il suo affluente: il fiume è per l’appunto il Tevere, “spina dorsale” dell’Urbe, ma l’affluente in questo caso non è scontatamente l’Aniene, bensì quel fluire incessante di memorie che per l’autrice è rappresentato dal ricordo della madre Teresa, suicida in quelle acque.
Memorie personali. Memorie collettive. Come danzando sulle immagini, Virginia Eleuteri Serpieri si destreggia lieve tra la vita e la morte, tra la testimonianza e l’oblio, omaggiando la madre e la Città Eterna quasi fosse una simbiosi inesplicabile, quella che va a generarsi tra loro sullo schermo. I materiali d’archivio pulsano così di vita propria come raramente abbiamo visto al cinema. Non a caso abbiamo citato la Marazzi, poc’anzi, ma un altro nume tutelare (ci si perdoni il volare alto) potrebbe tranquillamente essere Alan Resnais.

In Amor le foto di famiglia ci fanno intuire un’esistenza fragile, delicata, incorniciata da un bel volto femminile, allorché però la vita (e la morte) di Teresa si fondono indissolubilmente con l’Eternità di Roma e con gli accadimenti di un secolo, il Novecento, niente affatto avaro di drammi collettivi: a ricordarcelo i filmati d’epoca dei bombardamenti alleati su San Lorenzo e sui quartieri limitrofi. Più in generale, i preziosi materiali d’archivio (che sono a volte, letteralmente, le “cartoline” della città o di altri luoghi) ci guidano in un percorso che ha sempre l’elemento liquido, l’acqua, il fiume (oggigiorno “murato”, per evitare nuove inondazioni: ma si possono arginare così anche i ricordi?) quale filo conduttore. L’isola Tiberina stessa diventa pertanto, nel segno di Esculapio, la nave su cui salire per proseguire il viaggio. Non paga di questo, la regista generosamente dona il nome Amor anche ad alcuni frammenti onirici, formalmente ben riconoscibili, coi quali viene ricreata una sorta di realtà parallela, immaginifica, dall’impronta bucolica e “liquida” anch’essa, in cui si depositano le ombre sfuggenti del passato e la consapevolezza presente. Che si tratti poi del Mito (Romolo e Remo), dei traumi riconducibili alla Seconda Guerra Mondiale, del nostalgico rievocare un periodo post-bellico in cui il fiume era ancora balneabile, il Tevere continua a scorrere sullo schermo accogliendo ogni istanza poetica o memoria storica, assecondato in questo dalla bella, vibrante colonna sonora del compositore lituano Martynas Bialobžeskis: “esotica” presenza, questa, che ci spinge inoltre a segnalare una proficua partecipazione baltica alla co-produzione del film. Un’opera cinematografica di rara sensibilità, grazie alla quale sarà ancor più difficile dimenticare che Roma è Amor.

Stefano Coccia

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