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Vitrival – The Most Beautiful Village in the World

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VOTO: 7

Graffiti volgari e omicidi seriali

Dopo un lungo e fortunato percorso nel circuito festivaliero iniziato lo scorso gennaio a Rotterdam che ha poi fatto tappa in kermesse alle diverse latitudini, Vitrival – The Most Beautiful Village in the World di Noëlle Bastin & Baptiste Bogaert è approdato anche in terra italiana, per la precisione in quel di Lecce. E lo ha fatto entrando dalla porta principale, quella della 26esima edizione del Festival del Cinema Europeo, dove la pellicola della coppia belga, qui all’opera prima dopo la regia di numerosi cortometraggi, è stata selezionata in concorso.
Il film, scritto dagli stessi registi, ci porta proprio nella località indicata dal titolo, che per chi non l’avesse mai sentita prima è una frazione, fino al 1977 comune autonomo, della città belga di Fosses-la-Ville, situata in Vallonia, nella provincia di Namur. Le sue strade sono costantemente pattugliate dai cugini e poliziotti Benjamin e Little Pierrer che recentemente hanno sempre parecchio da fare: sui muri del paese continuano a comparire graffiti a forma di pene. Naturalmente, nessuno sembra aver visto o sentito nulla. Nel frattempo, un abitante si toglie la vita. Poi un altro. E un altro ancora. Le stagioni si susseguono, e con esse aumentano sia i graffiti che i suicidi. Cosa possono fare Benjamin e Pierre?
La risposta la lasciamo ovviamente alla visione di un film il cui plot sembra appartenere sulla carta a una dimensione di genere, suggerendo un mix tra crime, poliziesco e mistery. Lo è, ma non nella misura che la sinossi potrebbe suggerire, tanto da depistare lo spettatore di turno. Quest’ultimo si troverà al cospetto di una sorta di anti-thriller, in cui il ritmo della vita di Paese, con l’alternarsi delle stagioni, si impone sull’indagine in corso. I giorni, le feste, la quotidianità del villaggio infatti continuano a scorrere, comunque vada. Il susseguirsi di morti e atti di vandalismo turbano ma non al punto da fare cambiare le sane buone abitudini della popolazione locale che va avanti nonostante tutto. Questo è l’interessante e spiazzante modus operandi con e attraverso il quale gli autori hanno voluto e saputo destrutturare il genere, andando in direzione opposta e contraria agli stilemi e agli elementi ricorrenti dei filoni chiamati in causa. Da questo punto di vista, Vitrival è un’opera spiazzante che vuole a tutti i costi disilludere quelle che possono essere le aspettative di genere e le attese del fruitore. Coraggiosamente Bastin e Bogaert decidono di mettere in discussione la rappresentazione delle indagini implacabili e infallibili tipica del cinema classico, dove il mondo sembra arrestarsi per dare la caccia ai colpevoli. Qui, invece, non esiste una vera indagine, né veri colpevoli, e nulla viene davvero risolto. Il tal senso la narrazione non si basa su una trama vera e propria, ma preferisce osservare e immortalare lo spirito stesso del villaggio e dei suoi abitanti che, di fronte a eventi inquietanti, continuano comunque la loro vita quotidiana. Il ché fa di Vitrival la cronaca di un piccolo villaggio rurale attraverso le stagioni e il ritratto umanista di una comunità unita dalla sua posizione socio-geografica, lontana dai grandi centri urbani e necessariamente definita dalla collettività.
Il focus di conseguenza si sposta sulle beghe e sulle diatribe di vicinato che finiscono con il monopolizzare le dinamiche di un racconto insieme serio e ironico, diventando quasi delle questioni di Stato. Ed è su queste che il film si concentra, restituendo alla platea delle situazioni a volte sorprendenti e divertenti. Un modo diverso di procedere e fare commedia, che consente a Vitrival di staccarsi dall’immaginario comune e dagli schemi classici per portare sul grande schermo, con la complicità di efficaci attori non professionisti, un ritratto naturalistico di una piccola città vallona.

Francesco Del Grosso

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