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Out of Love

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VOTO: 7,5

I giorni dell’abbandono

Parlare ancora di Nathan Ambrosioni come di un enfant prodige, anche se a soli 25 anni ha già firmato tre lungometraggi e può contare su un curriculum e un palmares di tutto rispetto, forse non è più il caso dato che film dopo film ha affinato il suo approccio alla narrazione e alla messa in scena, raggiungendo una piena ed evidente maturità artistica e professionale che è ormai sotto gli occhi di tutti. La sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Out of Love (Les Enfants vont bien), presentata in concorso alla 26esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce dopo la vittoria del premio per la migliore regia alla prestigiosa kermesse di Karlovy Vary, per quanto ci riguarda ne è la conferma definitiva.
Quello del giovanissimo cineasta francese in terra salentina è stato un graditissimo ritorno, poiché proprio al festival pugliese nel 2019 aveva ben figurato con la toccante opera prima dal titolo Paper Flags. Un esordio, quello, con il quale l’autore aveva saputo esplorare con grandissima profondità una tavolozza di emozioni cangianti, le stesse che percorrendo altre strade narrative e drammaturgiche arrivano anch’esse a fare risuonare le corde del cuore e le sinapsi dello spettatore di turno. Lo fa scegliendo come innesco un evento shock per studiarne le conseguenze su coloro che restano. L’evento in questione è una scomparsa volontaria. È una sera d’estate e Suzanne, accompagnata dai suoi due bambini piccoli, fa una visita improvvisata alla sorella Jeanne. Jean ne è colta di sorpresa. Non solo non si vedono da diversi mesi, ma Suzanne sembra completamente assente. Al risveglio, Jeanne è sbalordita nello scoprire il biglietto lasciato dalla sorella. La sua incredulità cede il passo alla rabbia quando, alla stazione di polizia, Jeanne si rende conto che non è possibile avviare alcuna ricerca: Suzanne ha preso la folle decisione di sparire… Come lei ogni anno in Francia circa 15.000 persone decidono di scomparire nel nulla, di volatilizzarsi. Attingendo dalla vita reale e dalla cronaca, la co-protagonista invisibile di Out of Love diventa di fatto una di queste.
L’intenzione del film è dunque quella di concentrare lo sguardo su chi rimane, osservandoli andare avanti nonostante la mancanza di risposte. Il film si sforza di evocarlo in modo molto semplice, attraverso elementi molto concreti, scene quotidiane. Ed è questa la grande forza di un’opera che non ha bisogno di dinamiche eclatanti per coinvolgere il fruitore, ma preferisce tirarlo dento il racconto al seguito dei personaggi principali attraverso un continuo movimento tellurico di emozioni e stati d’animo che scorrono sotterranei. Ambrosioni, che ha anche firmato la sceneggiatura, gioca sui segreti e le sfumature di questo particolare territorio, mantenendo al contempo un filo di suspense che gli permette di tenere sempre alta la tensione e l’attenzione dello spettatore. Nel mentre affronta tematiche dal peso specifico rilevante e universali come la maternità, la sorellanza, la filiazione, l’amore, le speranze, i dolori e i rimpianti, in maniera funzionale al plot e alle one-lines dei personaggi senza perdere mai il fuoco. Merito anche delle performance dei giovanissimi interpreti, ma soprattutto di una Camille Cottin in stato di grazia, che sforna una performance davvero intensa nei panni di Jean. In tal senso, le scene del confronto con il poliziotto in caserma in occasione della raccolta della denuncia di sparizione della sorella, oppure la corsa a perdifiato in piena campagna all’inseguimento del nipote sono un concentrato di brividi che scorrono lungo la schiena.

Francesco Del Grosso

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