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Hen

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VOTO: 7.5

Gallina non fa brodo

Risulta sempre interessante, quando nella Settima Arte il focus si sposta dalla variegata umanità alla fauna animale. Dal mulo di Robert Bresson (Au hasard Balthazar, 1966), poi ripreso in un libero remake da Jerzy Skolimowski in EO, 2022. E mettiamoci pure, a mero titolo d’esempio di riuscita opera commerciale, Babe – Maialino coraggioso di Chris Noonan, 1995. Tutti titoli, tra sperimentalismo e filosofia di fondo, in cui il consorzio umano è osservato da un punto di vista esterno, quindi ignaro. Ora è il turno di una gallina non parlante e per nulla umanizzata, che resta tale dalla nascita fino al beffardo finale di Hen, nuova “provocazione” artistica del regista ungherese György Pálfi, famoso sin dai tempi dello sconvolgente Taxidermia, nel 2006.
Perché scrivere di provocazione – pur tra mille virgolette – se il racconto si dipana con la massima semplicità e realismo, finendo con il sembrare, in più di qualche sequenza, quasi un documentario? Per il confronto, appunto, tra una gallina massimamente resiliente e dal cervello fino e lo sfondo umano che fa da contrappunto alla vicenda. Questi ultimi destinati ad una fine già scritta, mentre la tenera gallina di color scuro slalomeggia senza sosta allo scopo di evitare una morte che, in situazioni normali, dovrebbe apparire certa. Ecco dunque servito il retrogusto filosofico di Hen, opera selezionata per il Concorso Progressive Cinema alla ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma: gli animali impartiscono una bella lezione di sopravvivenza ad esseri umani completamente fuori di testa, gente che non vede l’ora di farsi fuori reciprocamente al fine di conquistare qualche briciola di potere che non sposta alcun equilibrio. Ma in compenso uccide non per istinto, ma obbedendo ad un codice dettato solamente da regole criminali senza pietà alcuna.
Si resta dunque ammirati dagli sforzi dell’anonima gallina di restare viva in un mondo palesemente sottosopra, di ambientazione balcanica. Situazioni di rischio per la sua incolumità si alternano senza sosta, alzando la soglia di attenzione dello spettare. Il quale finisce inevitabilmente con il provare empatia per il pennuto. Il quale finisce davvero con il sembrare una sorta di genio in una società demente in ogni sua declinazione. Non stupisce allora il finale a dir poco beffardo: la gallina mette al mondo la progenie in totale emancipazione, prendendo possesso del complesso abitativo del presunto padrone umano, fisicamente eliminato.
Durerà? Ovviamente non è questo il punto. In questo senso la metafora di Hen risulta cristallina: i dominatori del pianeta rischiano seriamente di retrocedere all’ultimo posto di un’ipotetica scala di valori intellettuali, a furia di uccidere (la Terra) e uccidersi tra loro stessi. Ragione per cui la lezione morale impartita da questa banale gallinella qualsiasi – peraltro anche molto fortunata, come si renderà conto chi vedrà il lungometraggio in questione. Giusto premio per l’audacia, direbbero altri – resterà comunque scolpita nella pietra. Che piaccia o meno.

Daniele De Angelis

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