Sulle tracce del passato
Il 18 novembre torna al Cinema Greenwich la rassegna “Solo di martedì”, che si sta affermando, nella capitale, come uno dei più appassionanti e stimolanti appuntamenti coi documentari e con altri rivoli del cosiddetto “cinema del reale”. Tra le perle ivi intercettate vi sono finora Tempo d’attesa di Claudia Brignone e Cose che accadono sulla terra di Michele Cinque, solo per citare alcune delle opere più significative.
Nel caso di Eugenio Barzaghi, l’autore di Bocca d’inferno, il suo approccio registico prende forma qui sia da una passione cinefila che chi scrive conosce sin dai tempi di Cinemavvenire, rivista di critica della quale si era stati entrambi collaboratori, sia da un viscerale amore per la fotografia. Tale progetto ha però alle origini anche un altro risvolto, decisamente personale. Per comprenderlo meglio possiamo rifarci alle parole del regista stesso, il quale così ci racconta come sia venuto a conoscenza del diario autografo di un suo avo, caduto come tanti altri giovani di quell’epoca tormentata combattendo sul Carso, durante la Prima Guerra Mondiale: «Ho trovato il diario accidentalmente, nello scantinato di una vecchia casa in vendita, prima che venisse buttato via, salvandolo dal macero. Per giorni ho letto e riletto quel racconto tragico. Più leggevo e più riconoscevo, nella linearità della scrittura, la necessità di dare un senso all’orrore della guerra, di cercare risposte, certezze, giustizia, attribuire e forse attribuirsi meriti e colpe. Questo era così simile a quello che cercavo io nella fotografia e il cinema: una sorta di emancipazione dall’imponderabile. La sua storia, così diversa e lontana nel tempo, trovava un legame con la mia che andava oltre l’omonimia e mi appariva per quella che era: la storia di un’ossessione. Se mi fossi mosso per cercare quella sua ossessione sarei arrivato fino a un punto più profondo della mia e se alla Bocca d’Inferno, la misteriosa trincea da cui scriveva, lui aveva affidato desideri e angosce, forse potevo farlo anch’io. O almeno mi sono illuso di poterlo fare».
Già, l’omonimia. Quasi fosse “Kieślowskianamente” parlando “la doppia vita di Eugenio Barzaghi” (e nella settima arte il tema del doppio ha sempre il suo fascino), il fratello del bisnonno si chiamava proprio Eugenio Barzaghi, come il regista suo discendente. E al cineasta è venuto perciò in mente di mettersi totalmente in gioco, realizzando un’opera cinematografica che trascende la struttura classica del documentario, diventando molte altre cose, oscillando ad esempio tra intimo diario di viaggio, riflessione metastorica e ricognizione di territori sospesi tra presente e passato.
Sempre in tema di Prima Guerra Mondiale, qualcosa del genere lo aveva fatto in passato il Christian Carmosino di Kobarid/Caporetto. Più “teorico” il film di Carmosino, più “materico” probabilmente quello di Barzaghi. Entrambi capaci, però di creare un ponte, nell’immaginario collettivo, attraverso il quale i ricordi di quell’immane mattatoio transitano fino ai giorni nostri, fino all’aspetto odierno di quelle terre di confine non più attraversate da cruente battaglie.
Quasi una dichiarazione di poetica, la sequenza iniziale di Bocca d’inferno, quella posta prima dei titoli. Il regista si lascia inquadrare col suo “strumento di lavoro”, una fotocamera professionale, nel primo degli ambienti visitati da una troupe ridotta, essenziale, che accanto all’autore vede muoversi l’operatore Eros Achiardi e il fonico Marco Neri. E mentre la voce fuori campo ripropone alcuni passaggi emotivamente intensi del diario di guerra del fante italiano, il viaggio in Friuli Venezia Giulia della crew ce ne illustra i luoghi, producendo una simmetria (o talora asimmetria, visti i mutamenti intercorsi) sempre foriera di spunti e significati nuovi, diversi. Sia che sullo sfondo ci sia la pietra così chiara, accecante, del Sacrario di Redipuglia (laddove l’incontro col custode di tale monumento aiuta lo spettatore a capire molte cose di quei tragici anni, a partire dal difficoltoso riconoscimento delle salme), sia che si vada sulle cime e nelle valli adiacenti alla ricerca delle trincee dove il caporale Eugenio Barzaghi combatté e trovò la morte; animato da un senso del dovere d’altri tempi, come emerge da alcune pagine del diario, ma a tratti giustamente critico nei confronti degli ordini sprezzanti, sconsiderati, dati da certi superiori. E qui una qualsiasi memoria cinefila non può che tornare a uno dei tanti capolavori di Rosi, Uomini contro, ispirato del resto a uno dei capisaldi della letteratura italiana sulla Grande Guerra, Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu…
Sebbene Eugenio Barzaghi, non il fante qui ma il regista, dica quasi all’inizio di non essersi proposto di fare un cinema della “memoria”, questa sua spasmodica ricerca delle tracce di quel lontano parente annientato dalla guerra è destinata comunque a farsi testimonianza, più vivida di tante altre; giacché il voler ricostruire di sguincio questa identità dimenticata è affine a nostro avviso a quella ricerca di frammenti di vite soppresse con la violenza che cineasti come Rithy Panh, vedi L’immagine mancante (2013), hanno portato a vette eccelse. Al risultato contribuisce anche, spostandoci on the road con quest’agile produzione cinematografica, qualche spiazzante detour che dalle trincee della Prima Guerra Mondiale ci riporta all’oggi, alla quiete di quelle terre friulane che una festa di paese anima comunque di di presenze, di volti, di storie, di epifanie sorprendenti tra cui brilla quella della ragazzina impegnata in una esotica, spiazzante, per certi versi geniale “danza del serpente”. Stati di calma apparente? Probabilmente sì, considerando che la Storia è in continuo movimento e che proprio in queste ore da alcune delle località un tempo attraversate dal conflitto con gli austro-ungarici e oggi così stabili, sonnacchiose, giungono notizie allarmanti. Ovvero le vittime e i danni registrati in provincia di Gorizia, a Versa e dintorni, per colpa dell’alluvione. Anche in tempo di pace, la drammaticità dell’esistenza trova sempre il modo di palesarsi.
Stefano Coccia









