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Long Night

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VOTO: 7,5

Una serata al fianco di Emergency

Il Caffè Letterario di Roma è uno spazio particolarmente sensibile ai drammi che si consumano senza sosta in ogni angolo del mondo, con un’attenzione particolare a quel Medio Oriente funestato da interminabili conflitti militari e da conseguenti, endemiche crisi umanitarie. A dimostrazione di ciò potremmo citare il recente appuntamento con “Palestine Cinema Days”, quando cioè a supporto delle innocenti vittime di Gaza (e della Cisgiordania) è stato proiettato l’undici ottobre scorso lo straziante documentario A State of Passion di Carol Mansour e Muna Khalidi, accompagnato da un saluto in videomessaggio delle due autrici; il tutto preceduto poi da un altro splendido lavoro, Glow of Memories.
Per introdurre invece il discorso relativo al documentario di cui ci occuperemo a breve, Long Night di Lynzy Billing, ci piace ricordare un altro vibrante evento dedicato dal Caffè Letterario all’Afghanistan, allorché un paio di anni fa il sottoscritto venne convocato in quanto critico assieme ad altri giornalisti e inviati di guerra, passato un po’ di tempo dal funesto insediamento dei Talebani alla guida del paese, così da raccontare assieme la tragedia afghana, attraverso esperienze sul campo ma anche attraverso il cinema; tant’è che a chiudere la serata fu il capolavoro della regista iraniana Samira Makhmalbaf, Alle cinque della sera, sempre capace di restituire forti emozioni.

Tornando al presente, martedì 11 novembre ossia oggi dalle ore 20 in poi Emergency presenterà proprio al Caffè Letterario le attività della ONG con la proiezione, in versione originale con sottotitoli in italiano, del già menzionato Long Night, documentario sull’impegno dell’organizzazione in Afghanistan realizzato attraverso le testimonianze dei membri dello staff e dei pazienti. Gli occhi della guerra appariranno così rosso sangue: quelli di un bambino che, nonostante le mutilazioni causate da una mina inesplosa, sorride alla telecamera e dice di essere felice perché è vivo. L’intervento di chi ne sta ora scrivendo, cioè il critico e giornalista cinematografico Stefano Coccia, figura in scaletta assieme ad altri che si annunciano di gran lunga più appassionanti e necessari, ovvero quelli di coloro che partecipandovi direttamente o agendo da mediatori culturali accompagnano da anni le meritorie attività di Emergency nei vari teatri di crisi.
Riguardo a Long Night (Afghanistan, Italia 2024), tale film era già stato proiettato a Roma il 14 gennaio 2025 nella prestigiosa cornice del Palazzo delle Esposizioni ed è opera di Lynzy Billing, giornalista investigativa e fotografa con lunga esperienza in Afghanistan. Il titolo del film rimanda alle innumerevoli e lunghe notti segnate, nel corso degli anni, da “mass casualties”, un afflusso massiccio di pazienti che arrivano in pronto soccorso in un breve lasso di tempo, in seguito a esplosioni e attentati, tema questo ricorrente in tutte le interviste.

Quanto detto finora lo potete trovare anche nelle varie sinossi più o meno ufficiali pubblicate in rete. A titolo personale ci teniamo invece a sottolineare l’impegno valido ed efficace della regista nel selezionare e “dosare”, se così si può dire, i materiali raccolti tra Kabul, Anabah e Lashkar Gah, località in cui Emergency negli anni più duri per il popolo afghano è riuscita ad aprire tre centri chirurgici e in un caso (Anabah) anche quel centro di maternità con annesso reparto pediatrico così efficiente e di utilità alla popolazione. Ma soprattutto quando nell’articolato racconto sono feroci attentati con le autobombe o effetti devastanti delle mine antiuomo, forse la piaga più crudele e terribile presente sul territorio, a finire sotto i riflettori, molto ponderato è l’approccio di una Lynzy Billing che inserisce in montaggio qualche scena riguardante le terribili conseguenze di tali armi (spesso importate da paesi occidentali) sul corpo umano, giacché sarebbe ipocrita negare visivamente un simile aspetto, ma quasi con pudore non vi indulge più di tanto, preferendo dirottare l’attenzione sulle testimonianze verbali dei medici e dei sopravvissuti, dai cui racconti l’orrore sperimentato dalle vittime emerge forse con ancora più dignità e forza. Il montaggio stesso del film si trasforma così in una sorta di “triage” modello ospedale da campo, laddove l’accettazione, selezione e cura dei materiali audiovisivi mostrati al pubblico non può essere esente da considerazioni etiche.

Stefano Coccia

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