Registi di noi stessi
Dopo un lungo e fortunato percorso festivaliero iniziato al Monaco Film Festival 2024, laddove si è aggiudicato il premio per la miglior regia, proseguito poi in altre importantissime kermesse alle varie latitudini tra cui quelle di Toronto, Stoccolma e Tallinn, per Sad Jokes di Fabian Stumm si è presentata l’opportunità di tornare su uno schermo italiano dopo una prima volta lo scorso aprile in occasione del 40° Lovers Film Festival di Torino. Il secondo lungometraggio del regista tedesco, che lo ha anche scritto e interpretato, è stato presentato nuovamente nel Bel Paese, stavolta in quel di Milano nell’ambito della 39esima edizione del MiX – Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer.
Ed è nella manifestazione meneghina che abbiamo avuto la possibilità di vederlo in concorso e apprezzarne la delicatezza e l’ironia con le quali l’autore ha saputo mettere in scena la complessità dei legami affettivi e delle fragilità umane. Come nell’esordio Bones and Names, anche in Sad Jokes si rivede lo stesso stile personale privo di retorica e orpelli capace di fondere commedia, dramma e momenti surreali, offrendo allo spettatore un’esperienza filmica che alterna leggerezza, tenerezza e durezza per restituire tutta l’ambiguità, le sfumature e la bellezza delle relazioni contemporanee. Per farlo ci porta nelle vite di Joseph e Sonya, amici intimi, che crescono insieme il piccolo Pino. Lui è un regista in crisi creativa, ancora bloccato dal dolore per la fine della relazione con l’ex compagno Marc; lei è sopraffatta da una depressione che la allontana sempre più dalla vita. Quando Sonya decide di ricoverarsi in una clinica per cercare sollievo, Joseph si ritrova solo a gestire la quotidianità, diviso tra le responsabilità genitoriali, le nuove possibilità amorose e le proprie ambizioni artistiche.
Letta la sinossi viene automatico pensare a un’opera profondamente autobiografica e in parte lo è. Alcuni degli ingredienti del plot e nella costruzione del personaggio di Joseph, a cominciare dal mestiere comune di regista, sono stati attinti proprio dal vissuto di Stumm (la casa dove vive il protagonista è la vera abitazione del regista), che decidendo di ritagliare per sé il ruolo del protagonista ha fatto in modo che il racconto e la figura che lo anima risultassero ancora più personali e autentici. Ed è questo il merito di un film che con grandissima semplicità e zero escamotage riesce a sfuggire dalla retorica del dramma sentimentale e familiare, andando in profondità per fare risuonare corde plurime. Si sorride e ci si commuove senza forzature, ma con una fisiologica naturalezza e onestà intellettuale. Ad averne di più in tal senso di pellicole come Sad Jokes, in grado di trovare il giusto equilibrio tra introspezione e leggerezza per trasferire sullo schermo una riflessione tragicomica sulla realtà. Stumm alterna i registri e nello switch continuo di tonalità sale e scende di intensità di scena in scena. La regia pulita e lineare, rigorosa e viene da dire contemplativa, si mette al completo servizio dei personaggi, lasciando spazio alle dinamiche, ai tormenti, alle vulnerabilità e soprattutto alle loro emozioni. Questo “magma” traspare perfettamente dalle performance attoriali, tra le quali segnaliamo quelle dello stesso Stumm e della bravissima Haley Louise Jones, che nei panni di Sonya colpisce al cuore ogniqualvolta entra in scena (vedere la scena iniziale ambientata in cucina).
Francesco Del Grosso