La palla ovale sul grande schermo
Al Teatro Olimpico, ovvero a due passi da quello Stadio Olimpico di Roma che da diversi anni vede impegnati gli Azzurri nelle durissime sfide del 6 Nazioni, ha avuto luogo il 17 ottobre la prima di 80 minuti – Italrugby, l’ambizione di arrivare in alto, documentario inserito tra gli Special Screenings della Festa del Cinema di Roma 2025. Gli 80 minuti del titolo corrispondo sia alla durata effettiva del film che a quella di una partita di Rugby. A dirigere non il “pacchetto di mischia” ma il doc stesso vi è Matteo Mazzocchi, fratello minore del grande giornalista sportivo – nonché appassionato di rugby – Marco Mazzocchi, la cui intervista è ovviamente parte integrante di tale lavoro. A quanto pare in famiglia l’amore per tale sport scorre potente come la Forza in Luke Skywalker. E quasi conseguentemente i tanti cultori della palla ovale presenti in sala non hanno potuto fare a meno di apprezzare la professionalità, la passione e la competenza riversati nel progetto in questione.
Tra backstage esclusivi dell’ultimo 6 Nazioni e immagini di repertorio accuratamente selezionate, la narrazione si snoda sinuosa passando di continuo dal passato al presente. E con un “orizzonte degli eventi” ben definito, quale focus dell’appassionante racconto sportivo: l’ammissione dell’Italia al celebre torneo, che prima si chiamava 5 Nazioni (conseguentemente alla presenza francese accettata solo in un secondo momento) e prima ancora Home Nations Championship, quando i partecipanti alla competizione istituita addirittura nel 1883 erano soltanto le nazionali britanniche ovvero Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda (la cui selezione sin da allora partecipa, pensate un po’ quali miracoli può fare tale sport, unita e senza quindi tenere conto dei confini politici).
Uno dei meriti maggiori del documentario è senza ombra di dubbio il saper fare il punto su cosa sia oggi il rugby in Italia, partendo dalle sue origini storiche, ma mettendo in luce al contempo l’etica e la particolare dimensione sportiva che lo rendono pressoché unico, sia per chi scende in campo che per chi assiste agli incontri dagli spalti. “Terzo tempo” docet. Con particolare emozione abbiamo assistito alle testimonianze e ai ricordi più datati. Seguendo immagini e ricerche almeno per noi inedite si apprende infatti del ruolo avuto dai marinai britannici di stanza a Genova nel permettere a tale sport di prendere piede anche in Italia, come pure delle prime apparizioni durante il “Ventennio” di una Nazionale che peraltro all’esordio perse, in trasferta, contro la Spagna. Può far persino sorridere quanti passi in avanti gli Azzurri abbiano fatto da allora, mentre il cammino degli iberici è stato decisamente più stentato…
Come accennavamo, quasi nelle vesti di “mediano d’apertura”, proprio all’inizio, grazie anche alla notevolissima ricchezza di fonti e di approfondimenti la cronistoria del rugby italiano tracciata agilmente in 80 minuti – Italrugby, l’ambizione di arrivare in alto tende verso un momento storico assai rilevante, ovvero l’ammissione degli Azzurri a uno dei più importanti trofei internazionali, il 6 Nazioni, formalizzata già nel 1998 e concretizzatasi poi in campo con il vittorioso, ed in ciò anche clamoroso esordio in casa contro la Scozia, battuta allo Stadio Flaminio 34 – 20 il 5 febbraio 2000. Il duro lavoro, la fatica, i sacrifici, lo spirito di squadra e altre virtù della palla ovale sono però ancora più presenti, forse, nelle parti documentarie che raccontano la difficile affermazione del rugby nell’Italia del dopoguerra, quando ogni confronto ufficiale con le nazionali più forti si concludeva con sonore sconfitte. Preziose sono qui le testimonianze di giornalisti e altri addetti ai lavori come pure di qualche vecchia “bandiera” della nazionale, su tutti quell’Erasmo “Mimmo” Augeri indimenticabile apertura protagonista a Grenoble atto primo, nel 1963. Sempre a Grenoble si sarebbe poi fatta la Storia. Negli anni ’90, anche per merito di alcuni commissari tecnici stranieri dotati di grande carisma, cominciarono ad arrivare risultati prestigiosi. Tra questi brilla proprio la storica vittoria sui transalpini nella finale di Coppa Europa del 22 marzo 1997 a Grenoble, partita finita 32-40, con in campo alcuni degli intervistati più pimpanti del documentario stesso, i gagliardi Dominguez (genio assoluto dei calci piazzati), Giovannelli (già Capitano in quella occasione), Croci (autore di una delle mete decisive) e Vaccari, che siglò la nostra ultima, importantissima meta. Ma in campo c’era anche il mitico Ivan Francescato, che qualche anno dopo sarebbe prematuramente scomparso per un malore improvviso, sicché il suo affettuoso ricordo da parte del fratello (anche lui rugbista) e dei vecchi compagni di squadra costituisce uno dei momenti più alti del film, anche in virtù della dimensione profondamente umana, collettiva, solidale, leale, che da sempre caratterizza tale disciplina sportiva.
Stefano Coccia