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The Occupant

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VOTO: 6

Storie di famiglia “prigioniere del Caucaso”

In concorso ad Oltre lo specchio 2025, Milano, il lungometraggio dell’olandese Hugo Keijzer si sforza di fondere l’asprezza di un survivor movie tra le montagne con la sfera più intima di una protagonista assai volitiva, determinata, le cui peripezie condurranno comunque sia lei che lo spettatore in una dimensione dove le leggi della fisica non valgono più.
Facciamo però un piccolo passo indietro. Nel film Abby Brennan, giovane studiosa britannica di colore già scossa dalla perdita della madre, non accetta l’idea che anche sua sorella Beth, ammalatasi gravemente, possa morire. L’ultima speranza è una cura sperimentale e costosa che, a suo avviso, potrebbe salvarle la vita. Per questo Abby, di formazione geologa, ha accettato un remunerativo contratto da consulente per una miniera di uranio in Georgia. Così quando nel perlustrare le remote lande caucasiche si imbatte in un raro e misterioso frammento di meteorite, contenente minerali preziosi, finisce per illudersi d’aver trovato il lasciapassare per le tanto dispendiose cure di Beth. Ma proprio durante il ritorno in volo verso aree più civilizzate l’elicottero si schianta e lei rimane bloccata nella natura selvaggia. L’unica speranza di salvezza pare essere il precario collegamento radiofonico con John, qualificatosi come pilota americano di un altro velivolo precipitato in quelle condizioni estreme. Mentre si fa strada attraverso il paesaggio gelido, laddove anche le tensioni geopolitiche presenti nell’area possono costituire un pericolo, la coraggiosa Abby comincia gradualmente a sospettare che John non sia esattamente chi dice di essere e che abbia per lei altri progetti…

Ambientato in Georgia presso un’impervia regione di confine, The Occupant fatica forse a contenere determinate ambizioni narrative. Di sicuro impatto, ad esempio, è la sua componente più basica, legata alla lotta per la sopravvivenza in circostanze ambientali avverse. Non pochi colpi bassi regala la regia del lungometraggio, infatti, a chi soffre di ‘acrofobia’, allorché la già ammaccata protagonista per proseguire il suo viaggio deve scalare a mani nude pareti di roccia ripidissime e taglienti, disturbata inoltre in tale operazione dalle continue, gracchianti comunicazioni di John attraverso la ricetrasmittente. Quando poi superato l’ostacolo è la stessa traversata a piedi di un lago ghiacciato a riservare sgradite sorprese.
Più vicini ad essere un cliché sono invece i riferimenti alle contese geopolitiche che vedono contrapporsi russi, georgiani e altri popoli confinanti, risultando tale traccia sviluppata in modo alquanto ruvido, superficiale, monocromatico. Le attenzioni principali dell’autore sono del resto rivolte altrove. L’avventura di Abby assume infatti tutt’altro significato dal momento in cui la reale identità di John le viene rivelata e le stesse coordinate spazio-temporali collassano, lasciando intravvedere uno scorcio metafisico, in cui il presente e i ricordi si fondono, tanto da porre la protagonista di fronte a un serio dilemma etico. Sulla sua scelta finale non vi diciamo ovviamente nulla. Quantunque la nostra impressione, davanti alla ponderosità dei temi sondati dal regista, è che la parte del film in cui Hugo Keijzer pare quasi sulle orme di Nolan non approdi mai a uno spessore tale da incidere in profondità sull’immaginario fantastico.

Stefano Coccia

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