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The Banished

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VOTO: 6,5

Perdersi, in Australia, inghiottiti dalla natura selvaggia

Wilderness & legami famigliari. Vi è qualcosa di primordiale, ancestrale, nel film australiano in concorso al Monsters Fantastic Film Festival 2025. Non un semplice horror, bensì l’archetipica rappresentazione del classico “rito di passaggio”. Può far quasi sorridere che l’autore, quel Joseph Sims-Dennett qui al suo terzo lungometraggio, pur essendosi trasferito in Australia all’età di 16 anni sia originario di Oxford, nel Regno Unito. Un po’ come se le sue stesse note biografiche facessero da amplificatore a quel contrasto tra Civiltà e Natura, così presente nel film.
Detto questo, non tutto funziona alla perfezione, cinematograficamente parlando, nell’arco narrativo ivi proposto. Vi sono lungaggini, piccoli passaggi a vuoto, cali di tensione. Gli ingredienti di fondo però meritano attenzione e possiedono un fascino peculiare. Come in altri film di genere ambientati nel territorio australiano, del resto, a dominare è una componente agorafobica, legata quindi alla paura degli spazi aperti, nella fattispecie di quella Natura selvaggia che in simili frangenti può celare insidie d’ogni genere; da feroci serial killer a specie animali letali, dall’asprezza stessa del clima a quegli elementi misterici che rimandano ad antichi culti tribali, ecco alcuni degli elementi che caratterizzano la Storia dell’horror a queste latitudini.

In The Banished centrale è la figura di Grace Jennings, ragazza tornata dopo un lutto in famiglia nella cittadina dove è cresciuta per mettersi alla ricerca di David, il fratello scomparso: impersonata dalla bionda Meg Clarke, fisico snello e agile alla Lara Croft, volto intenso e dallo sguardo trasognato come certi dipinti dei Preraffaelliti, la protagonista ha senz’altro le carte in regola per affrontare una simile detection. Persa non soltanto “into the wild” ma anche nei meandri di un’intricata narrazione a incastri, l’indomita giovane si trova però subito circondata da misteri: dalla reticenza delle ultime persone che hanno visto vivo il fratello agli emblematici cartelli di “persone scomparse” presenti in città. Solo il rituale viaggio nell’impenetrabile foresta la porrà di fronte a una sconcertante, crudele verità.

Il disvelarsi di una setta criminale dai tratti tribalistici non è comunque, a nostro avviso, l’elemento maggiormente riuscito e originale del film. Decisamente più a suo agio il regista, Joseph Sims-Dennett, quando deve lavorare per sottrazione sulle atmosfere sospese, sull’attesa angosciante che qualcosa accada, sul senso di smarrimento che incombe sulla protagonista stessa durante le lunghe nottate in tenda, circondata dal nulla. E tutto ciò nonostante quei rischi di appesantimento della narrazione evidenziati in precedenza.

Stefano Coccia

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