Viaggio onirico nel mito di Orfeo ed Euridice
Rivisitazione del Poema a fumetti di Dino Buzzati, graphic novel del 1969 che rielabora in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice, il sorprendente Orfeo di Virgilio Villoresi coniuga in sé lo spirito del grande fumettista con la sensibilità e l’immaginazione originale del regista, dando vita ad un sogno ad occhi aperti che trasporta lo spettatore in un caleidoscopio di sensazioni ed emozioni. Un viaggio onirico tra il surreale ed il fantastico, tra l’animazione in stop motion ed il live action, attraverso una Milano immaginifica, ubicata in una dimensione sospesa tra il reale ed i luoghi inventati in omaggio all’opera di Buzzati.
Orfeo (Luca Vergoni) è un giovane e talentuoso pianista, Eura (Giulia Maenza) una ballerina; i loro sguardi si incrociano nel locale dove Orfeo suona ogni sera, facendo scoccare la fatale scintilla. Un amore destinato a dissolversi nel vento, quando Eura scompare senza lasciare traccia; nella sua vana ricerca dell’amata, Orfeo la vede infine mentre varca una misteriosa porta e la insegue oltre la soglia. Inizia qui il viaggio di Orfeo e dello spettatore in un mondo immaginifico, l’Aldilà, presidiato dall’Uomo Verde (Vinicio Marchioni) e popolato di creature singolari ed eccentriche che sembrano fondersi con le scenografie ed uscire dalle pareti, in un tutt’uno esteticamente inaspettato e sbalorditivo.
Raffinato ed elegante sin dai titoli di testa fino a quelli di coda, Orfeo consta di quattro capitoli, che raccontano quattro momenti del viaggio immaginifico di Villoresi; dall’incontro e la genesi di un amore speciale al silenzio, dalla discesa negli inferi al mistero del corno, sino al ritrovamento di Eura, ogni capitolo è un quadro che prende vita, con vetrate liberty e art noveau (Luppi, Fornasetti) e giochi di specchi ed effetti ottici artigianali che donano alla pellicola una dimensione vintage. Niente digitale: Villoresi lavora in pellicola, usando una cinepresa Bolex anni Settanta ed adoperando effetti artigianali, dall’effetto Schüfftan (un trucco che utilizza uno specchio posizionato a 45 gradi rispetto alla macchina da presa) alla dissolvenza incrociata, dall’animazione in stop motion al found footage (le immagini della madre ballerina). Anche la scelta di non lavorare in presa diretta ma far doppiare successivamente tutti gli attori trova le sue ragioni in questa necessità di dare una dimensione vintage all’opera, tanto quanto per poter amalgamare gli attori con la visione immaginifica del regista che prende vita con grafiche, stampe, disegni, animazione, in un intreccio di tecniche ed emozioni.
Orfeo è un’opera stupefacente e visionaria, ipnotica ed ammaliante; una gemma preziosa nata dalla sensibilità di Villoresi in cui regia, scenografia, costumi, musica, animazione, live action, effetti speciali artigianali si compenetrano per dar vita a un qualcosa di unico. Orfeo ed Eura sono esteticamente belli ed hanno un’anima pura; il loro amore ha un qualcosa di magico e tragico insieme, impreziosito dalla musica di Orfeo e della colonna sonora (di Angelo Trabace); il mito si rinnova in una Milano
fatta di campi larghi e piazze inventate, sospesa in una dimensione onirica dove nulla appare reale, dove si aprono porte nei muri che portano in un mondo ultraterreno ubicato in una villa spoglia eppure lussuosa, arricchita dalle scenografie di Riccardo Carelli e Federica Locatelli. Dulcis in fundo, i costumi: vicini all’estetica di Buzzati ma con una visione propria, se quelli di Orfeo ed Eura sono perfetti per i personaggi, negli Inferi hanno quel tocco di estroso stile mesmerico, in cui tutto è collegato e c’è una sorta di fil rouge che li guida. Ideati da Sara Costantini, nella villa dell’aldilà i costumi sembrano quasi fondersi con le scenografie: le misteriose gemelle escono quasi dalle pareti, mentre la sacerdotessa indossa un costume sacrale dalle linee geometriche che richiama le linee delle scale e della scena tutta. Geniale, poi, il Diavolo Custode, in cui costume e personaggio si intersecano in un tutt’uno; il costume, la giacca di Orfeo, prende vita propria e diventa personaggio, senza corpo, solo voce e una giacca che si muove, si contorce, parla senza bocca, curiosa quanto inquietante.
Distribuito dopo l’anteprima alla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia 2025 dalla Double Line, una delle poche società italiane foriere di novità ed originalità nell’asfittico panorama cinematografico, Orfeo di Virgilio Villoresi è una favola visionaria in cui perdersi, un’esperienza sensoriale ancor più che visiva, un viaggio onirico dove l’amore è puro e totalizzante. Se Orfeo non riuscì a riportare in vita Euridice perché, per sospetto, scelse di voltarsi, l’Orfeo di Villoresi arriva fino in fondo all’inferno per la sua amata, per trovarsi infine di fronte al mistero della morte ed alla dolorosa accettazione della perdita.
Michela Aloisi









