Fosche distopie
Sempre più spesso, nel cinema di genere cosiddetto fantascientifico, si ricorre alla descrizione di un futuro distopico al fine di mettere in scena una circostanziata critica sociale. Quella relativa a Zero – opera d’esordio della regista britannica Faye Gilbert, presentata in anteprima mondiale al Trieste Science+Fiction 2022 – oltre ad essere una scelta minimalista dettata da un budget presumibilmente tendente al basso, può contare su un’idea di base capace di catturare subito l’interesse dello spettatore.
Siamo infatti nel 2045, cioè un futuro abbastanza prossimo. In un contesto inglese da periferia degradata, gli adulti sono scomparsi, fuggiti in altri luoghi meno ostili. La realtà, intesa anche come diegesi del film, è divenuta “proprietà” esclusiva di adolescenti e bambini. Vige una sorta di regime chiamato Gateway, che impone, cercando di mantenere un improbabile ordine, una rigida separazione tra individui per età e sesso. Ovviamente a comandare sono gli adolescenti maschi, peraltro anche armati. Mentre l’adolescente Zero, protagonista del film sin dal suggestivo titolo, cova propositi di fuga in compagnia della riluttante sorellina Wake.
Se la trama di Zero è tutta qui, inciampando qua e là anche in inevitabili ripetizioni visti i continui tentativi di evasione della ragazza, innumerevoli sono le suggestioni che il film – scritto e diretto dalla Gilbert – veicola. In primo luogo il futuro distopico di Zero sembra maledettamente verosimile, lasciando in chi guarda un senso di amara inquietudine. Adulti vigliacchi che abbandonano la progenie al loro destino. Una metafora del nostro presente, nel quale tutti abbiamo la responsabilità di preservare alle future generazioni il nostro derelitto pianeta, sfruttato oltre ogni senso della misura. In seconda istanza, con evidente richiamo al romanzo “Il signore delle mosche” del premio Nobel William Golding, colpisce la struttura sociale in senso piramidale messa in atto dai giovani elementi che la compongono. Violenza, maschilismo e sistematica prevaricazione costituiscono il minimo comun denominatore “necessario” a stabilire una parvenza d’ordine. Fortunatamente incrinato dall’intraprendenza di Zero (benissimo interpretata dalla giovanissima Lauren Grace), la ragazzina protagonista. A sottolineare ulteriormente la necessità di una ribellione a determinate autocrazie di stampo sovranista che imperano nel mondo di oggi. Anche per questo Zero, inteso come lungometraggio, si può leggere anche come atto d’accusa nemmeno troppo velato alla Brexit decisa dal popolo britannico. Zero, mediante un processo speculare e contrario, tenta di fuggire, una e più volte, dall’isola che una volta fu grande alla ricerca di un posto migliore dove vivere con sorella e fratello minore. Dimostrando una maturità del tutto assente a molti adulti anche al di là dello schermo.
Ennesima dimostrazione concreta di un fatto inoppugnabile: quando un film poggia su uno schema di partenza solido ed intrigante, il risultato finale non può che essere assolutamente degno di interesse. E nel caso di Zero anche qualcosa di più: una distopia che possiede la stessa acutezza di un, tanto preciso quanto sotteso, ammonimento. Per ciò che forse verrà, ma soprattutto riferito ad un presente a dir poco nebuloso.
Daniele De Angelis