Cuori nella tormenta
Quale modo migliore per un festival di inaugurare una sezione competitiva se non partire con il piede giusto grazie a una pellicola capace di lasciare un’impronta forte del suo passaggio, tanto sullo schermo della sala che lo ha ospitato, quanto nella mente e nel cuore dello spettatore che ha avuto la possibilità di assistere alla proiezione. È il caso del Bif&st, che per aprire il concorso di “Panorama Internazionale” della 12esima edizione ha deciso di sparare subito una delle sue cartucce migliori, ossia Wu Hai di Ziyang Zhou. Il film scritto e diretto dal cineasta cinese di origini mongole, che si è fatto un nome nell’industria cinematografica fuori e dentro le mura amiche con il pluridecorato esordio Old Beast, è approdato alla kermesse pugliese dopo una serie di apparizioni in vetrine prestigiose del circuito festivaliero come il Tribeca, San Sebastián, Hong Kong e Sofia.
L’opera seconda di Zhou ruota intorno alle vicende di un piccolo investitore di nome Yang Hua che, messo alle strette da famiglia, amici e creditori per via del fallimento di un’impresa che prevedeva la creazione di un parco dinosauri nel vicino deserto, vede la sua vita precipitare nel caos e con essa il matrimonio con l’insegnante di yoga Miao Wei. Tutto inizia inesorabilmente a sgretolarsi quando dopo continui litigi la giovane coppia decide di sistemare le cose proprio il giorno dell’anniversario.
La lettura della sinossi di Wu Hai è sufficiente a capire quali siano le coordinate narrative e drammaturgiche che alimentano il film, a cominciare dalle diverse sfumature del dramma che identificano storia e personaggi. La colonna vertebrale che sorregge l’intera architettura è quella del dramma umano, nel quale vanno a incastonarsi dinamiche sentimentali e sociali che stratificano ulteriormente il racconto. L’autore utilizza come cartina tornasole il conflitto relazionale tra il protagonista e sua moglie, oltre alla crisi economica che li travolge, per portare sullo schermo un’efficace critica alla Cina contemporanea e al suo abbraccio al capitalismo. Questo incrocio di vite e di intrecci dentro e fuori dalla sfera matrimoniale risulta assai efficace, consentendo alla storia di allargare i propri orizzonti.
Il palleggio tra il ritratto di un uomo in rovina, accerchiato e minacciato dagli esattori e schiacciato dai debiti contratti, e la finestra aperta sulle condizioni economiche e sociali di una nazione in continua ascesa che fanno da sfondo, permette alla scrittura di ampliare il suo raggio d’azione, toccando tematiche, dinamiche ed emozioni universali. Quest’ultime più di ogni altra cosa rappresentano la linfa vitale e il gancio che permette alla scrittura e alla sua trasposizione di calamitare lo spettatore a sé, accompagnandolo sino a un epilogo imprevedibile che sferra un colpo potente alla bocca dello stomaco. Il tutto amplificato dalle performance attoriali e da una messa in quadro che predilige piani sequenza e immagini fortemente simboliche, permettendo alla componente visiva di fare confluire sullo schermo soluzioni d’impatto, estetica mai fine a se stessa e significati.
Francesco Del Grosso