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Winners

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VOTO: 7

And the Oscar goes to…

In un povero villaggio iraniano, i bambini lavorano duramente per mantenere le loro famiglie. Un giorno Yahya, nove anni, e la sua amica Leyla trovano una preziosa statuetta nel deserto. Mentre le autorità cercano il tesoro perduto, condividendo la passione di Yahya per il cinema, il suo capo Nasser Khan, decide di aiutare i due bambini a trovare il legittimo proprietario. Quest’ultimo altro non è che Asghar Farhadi e la statuetta in questione è l’Oscar che 2017 vinse per il film Il cliente. Riconoscimento che il regista però si rifiutò di andare a ritirare per protesta contro le misure adottate da Donald Trump con il Muslim ban. L’accesso negli Stati Uniti era negato ai cittadini di sette paesi di maggioranza islamica, tra cui l’Iran. Il regista scrisse una lettera di ringraziamento e spiegò che la sua assenza era una forma di rispetto nei confronti dei suoi concittadini, vittime di una ingiusta discriminazione da parte del governo a stelle e strisce.
Ecco allora che il suo connazionale ma residente in Scozia, Hassan Nazer, ha voluto raccontare in Winners l’ipotetico e rocambolesco ritorno a casa della preziosa statuetta, intrecciandolo con i ricordi della sua infanzia quando viveva e sognava di fare cinema nella sua città natale di Garmsar. Ed è proprio lì che ha voluto ambientare la sua opera seconda, girata con attori locali professionisti e non, ma interamente finanziato dal Regno Unito, che lo ha poi scelto come rappresentante per la corsa all’Oscar per il miglior film straniero. Presentata in anteprima al Festival di Edimburgo 2022, dove ha vinto il Premio del Pubblico, la pellicola ha poi avuto un’apparizione in Italia grazie al Bif&st, che in una 14esima edizione dedicata a Panahi e al cinema iraniano l’ha fortemente voluta nella rosa dei dodici titoli in concorso nella sezione “Panorama Internazionale”.
Nella kermesse pugliese abbiamo avuto la possibilità di vedere e apprezzare quello che è al contempo un personale omaggio da parte dell’autore alla Settima Arte e ai grandi cineasti che lottano per rivendicare la propria libertà di cittadini e di artisti in un Paese dove la passione per il cinema e la cultura politica repressiva sono sempre in contrasto, ma anche una favola che ha il merito di smarcarsi volutamente e coraggiosamente dal tono e dai contenuti che siamo soliti incontrare nel cinema iraniano degli ultimi anni. Lo ha fatto proprio attraverso gli stilemi e le sfumature della commedia e della favola, mantenendo però un realismo e un’autenticità che sono insiti nel DNA della cinematografia locale. Winners in tal senso sembra avere assorbito le influenze europee e occidentali in generale, dovute probabilmente alla produzione scozzese che vi è dietro e dagli ambienti che Nazer ha frequentato allontanandosi dalla sua terra natia. Ciò non gli ha però impedito di fondere il tutto con ciò che ha alimentato il suo immaginario sin da piccolo, ossia le opere di Mohammad Rasoulof, Abbas Kiarostami e del già citato Jafar Panahi, che come avremo modo di vedere nel corso del film sono più presenti che mai. Vedi il finale a sorpresa, del quale ovviamente vi lasciamo il gusto della scoperta.
Questo ne fa una piacevole eccezione, dotato di una leggerezza che non mira però a cancellare o a distogliere l’attenzione da quelle che sono le condizioni sociali, umane e culturali avverse nel quale si trova il Paese. Nazer ne parla in maniera personale, affidandosi allo sguardo del bambino dando forma e sostanza al capitolo di un romanzo di formazione che va intersecandosi con le pagine di un romanzo popolare. E la mente torna per modus operandi al bellissimo Nezouh – Il buco nel cielo, con il quale Winners condivide l’approccio, il tono e l’inventiva attraverso cui riesce a staccarsi, senza dimenticarsene, dalla triste cronaca dell’Iran.

Francesco Del Grosso

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