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Whitney – Una voce diventata leggenda

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VOTO: 6

Houston, abbiamo un problema

La rincorsa al biopic, per quanto concerne la celebrazione delle grandi figure dello star system statunitense e britannico, pare non avere mai fine. Con il rischio di diventare a modo suo una sorta di rituale. Ossia un canovaccio da rispettare calcando la mano su quelli che sembrano essere passaggi obbligati, soprattutto quando a essere passata in rassegna è la tumultuosa esistenza di qualche rockstar o popstar, andata incontro a un successo planetario: figure benigne e altre pronte a porsi da ostacolo parimenti rappresentate in famiglia, il talento che porta ad emergere praticamente dal nulla, quella popolarità che rischia di inebriare pericolosamente la mente, l’altra ebbrezza data dall’alcol e dalle droghe, i manager generosamente dediti alla causa, i manager truffaldini (i quali talora coincidono con la categoria precedente, prima di esser travolti a loro volta dall’ebrezza dei guadagni facili), lo stress generato a tonnellate dai media e dall’opinione pubblica, le ascese esaltanti e i vertiginosi crolli. Situazioni del genere abbondano per esempio in Bohemian Rhapsody o in Elvis. E non si fanno certo attendere nella storyline di Whitney – Una voce diventata leggenda, il film di Kasi Lemmons. Ma in dosi e secondo modalità che abbiamo trovato, a lungo andare, un po’ prevedibili. Per quanto al lungometraggio in questione si possano senz’altro attribuire mestiere, tatto, persino eleganza.

Di eleganza ne abbiamo avuto senz’altro meno noialtri, titolando il pezzo: “Houston, abbiamo una problema”. Non ce ne vogliano i fan di Whitney Houston, i quali sanno benissimo quanti e quali problemi abbia incontrato, nel corso della sua carriera, la grande cantante, fino al tragico epilogo. Un po’ si voleva provare a “sdrammatizzare”, per quanto possibile, un po’ si voleva mettere in evidenza proprio quell’iter narrativo che, pur senza specularci sopra grossolanamente, non edulcora certo l’entità dei contrasti avuti da Whitney col padre divenuto manager, oppure gli aspetti autodistruttivi del lungo rapporto sentimentale con il “bad boy” Bobby Brown.

Kasi Lemmons, straordinaria la sua carriera da attrice, già da un po’ ha preso confidenza registicamente col genere biografico (vedi il precedente Harriet) e di sicuro sa “centrare” i personaggi. Trovando degna risposta in interpreti visibilmente partecipi. A partire da Naomi Ackie, che qui è una Whitney Houston credibile, energica. Proprio nell’affrescare le zone d’ombra della sua esistenza, però, il film dà l’impressione di attraversare quei “problemi” cui si accennava prima troppo a volo d’uccello, senza concedere il tempo necessario alla costruzione di un’empatia più profonda col pubblico; il che potrebbe sembrare addirittura una provocazione, considerando le oltre due ore di durata del film! Tuttavia l’impressione è che Whitney – Una voce diventata leggenda funzioni meglio quando si dà spazio alla musica o ci si concentra sui momenti di positività. Intensi e riusciti sono ad esempio i siparietti con il discografico Clive Davis, complice la bravura stratosferica di Stanley Tucci. Oppure quelle scene che, senza rinunciare a un po’ di humour, sottolineano alcuni aspetti dell’ascesa trionfale della cantante, accarezzando il meta-cinema allorché ad essere ricordata è la sua partecipazione a una pellicola di successo come The Bodyguard, al fianco di Kevin Costner.

Stefano Coccia

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