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Where I Grow Old

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VOTO: 5.5

La saudade

Cognome impegnativo per Marília Rocha, ma per fortuna o sfortuna sua – a seconda dei punti di vista – nonostante la nazionalità brasiliana, non ha alcun legame sanguigno con il più celebre Glauber. L’eredità lasciata da uno dei padri del Cinéma Nôvo sarebbe stata davvero dura e pesante da raccogliere, per non dire impossibile da portare sulle spalle. Classe 1978, la Rocha è tra i fondatori del collettivo Teia e della casa di produzione indipendente Anavilhana, con i quali ha diretto vari cortometraggi, documentari e video presentati in festival e musei internazionali (dal MoMA al Musée d’Ethnographie de Neuchâtel).
Fatta chiarezza e sciolto qualsiasi dubbio sull’identità e il percorso professionale della regista brasiliana, possiamo  concentrarci finalmente sulla sua opera prima dal titolo Where I Grow Old, presentata in anteprima al Rotterdam International Film Festival 2016 e in concorso alla 52esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Al centro della pellicola c’è Francisca, una giovane donna portoghese residente a Belo Horizonte, che accoglie in casa un’amica di vecchia data di nome Teresa, anche lei decisa a trasferirsi in Brasile. Mentre Teresa esplora con entusiasmo la nuova città, in Francisca prende forma il desiderio di tornare a Lisbona. Le storie personali delle due donne si intrecciano, mostrando così due spinte contrapposte: lo slancio verso l’ignoto e l’insopprimibile nostalgia di casa.
Difficile determinare con esattezza il genere di appartenenza di un film come questo, ma il tono serioso ha senza alcun dubbio una presenza più tangibile rispetto al ventaglio solitamente a disposizione. Quella della Rocha è a una primissima lettura una storia di amicizia in una terra sconosciuta, ma soprattutto il disegno di un duplice percorso esistenziale che dopo una convergenza prende strade inverse. In tal senso, la mente torna a Banat – Il viaggio, dove i protagonisti lasciano l’incertezza di una terra per abbracciarne un’altra ancora più incerta. In questo caso, l’appartamento di Francisca diventa un luogo di scambio e di confronto dialettico sulle argomentazioni più disparate (a cominciare dall’importanza o no delle relazioni e dei rapporti sentimentali); luogo dove discutere e avere il coraggio di prendere le proprie scelte. Fuori dalle mura domestiche la metropoli bella e caotica di Belo Horizonte, con le sue strade e le sue piazze sempre popolate e trafficate, non fa solo da sfondo, ma si presenta e viene presentata dalla regista come un terzo personaggio che partecipa attivamente alle decisioni di entrambe le protagoniste. Oltre l’Oceano Atlantico la loro terra natia, il Portogallo, pensiero fisso che non le abbandona mai. Del resto, la saudade è un sentimento e uno stato d’animo che non può mancare in un’opera battente bandiera brasiliana, così come non può mancare la musica, che in Where I Grow Old è presente più che mai, attraverso una colonna sonora davvero ben curata (i brani di Caetano su tutti).
Ed è proprio la colonna sonora, insieme alla naturalezza recitativa delle due interpreti, ciò che maggiormente resta della visione di un film che, a conti fatti, non sembra avere ben chiare le intenzioni drammaturgiche, o meglio lo sa, ma il tutto sembra essere rimasto cristallizzato sulla carta. L’intreccio di vere esperienze di vita della regista con quelle altrettanto vere delle due protagoniste, si è tramutato in un tessuto narrativo dalla quale trasuda verità e sincerità. Per Where I Grow Old, la cineasta sudamericana ha lavorato con una macchina a mano in perenne pedinamento e con attrici non professionisti (Francisca Manuel è un’artista visiva, Elizabete Francisca una ballerina) e questo ha regalato alle interpretazioni quella naturalezza accennata in precedenza, che tanto ci ha conquistato. Ciò non è abbastanza però per mantenere a galla l’opera al di sopra della linea della sufficienza e ce ne dispiace profondamente, perché le potenzialità per farlo c’erano tutte.

Francesco Del Grosso

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