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We Are Your Friends

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VOTO: 6

“Saremo mai meglio di così?”

Non è una semplice commedia giovanilistica, We Are Your Friends. Tutt’altro. Il film scritto e diretto dall’esordiente Max Joseph (con la collaborazione di Meagan Oppenheimer alla sceneggiatura) è il classico dramma generazionale che affatto nasconde le proprie ambizioni di voler diventare una sorta di film-manifesto su un epoca oltremodo nebulosa come quella che i giovani stanno attraversando ora. Peccato lo faccia in un modo cinematograficamente di seconda mano, assemblando meccanicamente blocchi di film presi qua e là dall’oggi e da altre epoche. Da un punto di vista narrativo We Are Your Friends potrebbe infatti sembrare un lungometraggio realizzato a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, in pieno periodo di riflusso. Cole (Zac Efron) fa parte di un gruppo di quattro amici inseparabili. Cerca uno sbocco per la sua passione verso la musica – vorrebbe diventare un DJ di successo – ma intanto si arrangia con lavoretti saltuari, al pari di tutti gli altri. Fino all’incontro con James (Wes Bentley) – suo “collega” ma ben più famoso – che in un certo senso lo accoglie sotto la sua ala protettiva e soprattutto gli presenta Sophie (Emily Ratajkowski), assistente-amante di cui Cole, fatalmente, si innamorerà, lungo la strada che conduce alla propria realizzazione.
We Are Your Friends imbocca da subito l’unica direzione che è in grado di percorrere con un minimo di originalità, ovvero quella della musica. Un mondo descritto con dovizia di dettagli, ivi comprese le difficoltà, tecniche e non solo, di intraprendere una vera arte come quella del Disc Jockey. Dove purtroppo Joseph non si dimostra all’altezza di un contesto peraltro assai ben delineato è nell’affatto trascurabile approfondimento dei personaggi, i quali rimangono tutti in uno status oscillante tra il simbolo (Cole) e lo stereotipo (tutti gli altri). Guardandosi bene sia dall’allestire un triangolo sentimentale alla Jules e Jim di Truffaut – ovviamente del tutto fuori portata – che dal sottolineare alcuni aspetti penalizzanti delle differenze di classe – Cole e i suoi amici sono di estrazione, diciamo così, “proletaria” – il regista/sceneggiatore imbastisce la consueta traccia narrativa in cui i sogni giovanili si scontrano con le asperità della vita. La San Fernando Valley losangelina – teatro del tutto – ribolle di desideri variegati e frustrazioni assortite; ma coloro che contrabbandano facili ricchezze sono, come ovvio, del tutto inaffidabili. Lo dimostra ampiamente un segmento narrativo che sembra estrapolato di peso dal The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, giusto per fornire lo spunto per una bella tirata moralistica contro speculatori di ogni tipo, ritenuti responsabili di qualsiasi crisi economica globale. Pretesto in più per arrivare allo zenit del processo di “beatificazione” del personaggio interpretato dal bel faccino di Zac Efron, puro in un mondo di impuri e che per questo saprà cogliere il successo semplicemente ascoltando i rumori circostanti con l’orecchio interiore della propria anima. Tutto ciò dopo, come convenzione pretende, aver pagato il catartico prezzo della perdita di un amico – banalmente il più tenero e indifeso del gruppo – a seguito di un micidiale cocktail di pillole e alcol assunto accidentalmente nel periodo “edonistico” trascorso dal gruppo. Fase scontatamente necessaria per giungere alla fatidica maturità.
Insomma, se lo spettatore neutro di We Are Your Friends non riesce ad uscire da una fastidiosa aura di cattedratica lezione morale, ad essere ampiamente soddisfatti saranno di certo ammiratrici e, perché no, ammiratori dell’angelico Efron, ai quali consigliamo di attendere il post scriptum dopo i titoli di coda, che darà loro ulteriori motivi di incensare il personaggio principale. Soddisfatti pure gli appassionati di musica disco contemporanea, i quali dovranno compiere titanici sforzi su loro stessi per non alzarsi dalla poltrona e ballare, soprattutto nel trascinante finale in cavalleria. Per tutti gli altri c’è sempre la possibilità di recuperare autentici cult generazionali come ad esempio il Fandango (1985) di Kevin Reynolds. Altri tempi, decisamente.

Daniele De Angelis

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