Il commiato a una (vera) signora
Non sempre – anzi molto raramente – alla bellezza esteriore si accompagna la classe di saperci convivere. Tra le donne e le attrici italiane, in questo senso, Virna Lisi era l’esempio illuminante, quello da indicare in qualsiasi discorso incentrato sulla percezione del bello in una persona. Tutto, in lei, lasciava trasparire buon gusto e buon senso. Una donna così affascinante da vedersi aprire qualsiasi porta immaginabile, compresa ovviamente quella hollywoodiana al modico prezzo – per allora – di una esibizione pudica del proprio corpo. Ci andò, ma non resistette per molto. Disse no, grazie. A James Bond, per esempio. Alla copertina di Playboy, che avrebbe di sicuro contribuito alla creazione di un sex-symbol planetario. Per amore; per se stessa, per suo marito e la famiglia. Per la propria vita lontana dai riflettori più abbaglianti. Ci sarebbe da chiedersi cosa sarebbe stata una carriera cinematografica oltreoceano effettivamente compiuta, lontana dagli angusti confini italici. L’anti Sofia Loren? O magari la Marilyn aristocratica europea. Quanti divi americani avrebbe baciato? E chi si sarebbe perdutamente – si dice Frank Sinatra, nel vissuto reale – invaghito di lei? Tantissimi, di certo. Nessuno in concreto. Perché, senza scadere nel moralismo spicciolo, Virna Lisi era un’altra cosa. Rispetto ad una dimensione passata e, a maggior ragione, in riferimento al presente. Una donna che è stata bellissima, al di là di qualsiasi criterio soggettivo, fino a settantotto anni, cioè al momento della fine. Una donna che ha saputo invecchiare serenamente, con la consapevolezza che il tempo è impossibile da fermare e che i segni dell’età possono aggiungere anziché sottrarre al fascino.
Molta televisione – negli anni che contavano, quelli in cui mamma Rai faceva cultura – ad entrare nell’immaginario collettivo, diretta da Daniele D’Anza in Orgoglio e pregiudizio da Jane Austen. Registri leggeri, generi drammatici, da interprete a trecentosessanta gradi. Un’infinità di ruoli, molti grandi registi a dirigerla nel cinema. Dino Risi (Le bambole, 1965), Pietro Germi (Signore & signori, 1966 e Palma d’Oro per il miglior film a Cannes lo stesso anno), Alberto Lattuada (La cicala, 1980. David di Donatello per la migliore interprete femminile). Mai mettersi a fianco di Virna Lisi, o giovani aspiranti star. Memorabile lo smacco inflitto allo sciovinismo francese. Il luogo: Cannes, nel 1994. Il film: La regina Margot di Patrice Chéreau. Pellicola di qualità ma (anche) costruita per far vincere il premio principale all’allora diva assoluta (ovviamente transalpina) Isabelle Adjani. Miglior attrice della kermesse cannense? Ma Virna Lisi, anche lei interprete del film. Grazie ad un mix di talento e bellezza ombrosa – lei cinquantottenne all’epoca – in grado di oscurare qualsiasi altra performance, pure quella della divina e assai più giovane Isabelle. Un’ulteriore testimonianza di come siano altri i fattori che contano, nella vita come nell’arte. Dimensioni che talvolta tendono a specchiarsi tra loro, non solamente per stabilire la più bella del Reame.
Ci consola solo in parte molto ridotta sapere di avere un ultimo appuntamento “artistico” con lei: Latin Lover di Cristina Comencini uscirà a marzo del 2015. Una data che oggi ci sembra improvvisamente lontana, persa tra le pieghe di un futuro imperscrutabile.
Inutile quindi girarci molto attorno. Con Virna Lisi – all’anagrafe Virna Pieralisi – non se ne va solo una grande attrice, ma anche uno dei volti più nobili di questo nostro martoriato e incancrenito paese. Una delle poche persone delle quali si poteva andar fieri di condividere la nazionalità. Quante altre ne esistono, al momento? Per certi versi, da un punto di vista sociologico, un’intera epoca di cui lei era uno degli ultimi simboli si chiude, lasciando totalità di spazio all’esteriorità dell’immagine e tralasciando ciò che si cela all’interno. Forse non interessa più quasi nessuno, guardare oltre le apparenze. A Virna Lisi – e a chiunque l’abbia spiata con trattenuta ammirazione sul grande o sul piccolo schermo nel corso del tempo – sicuramente sì.
Daniele De Angelis