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Villetta con ospiti

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VOTO: 6.5

Tutti abbiamo ombre

C’è qualcosa di inquietante e grottesco sin dai primi istanti di Villetta con ospiti. È buio, si ascoltano delle voci e si assiste a una concitazione – sensazione che tornerà, sotto altre forme più avanti – perché in realtà si è a una battuta di caccia. Un uomo si fa il selfie col lupo appena abbattuto, con l’orgoglio (e un sorriso che resta impresso) dell’uomo che ha “vinto” sull’animale e questo già ci indica una traccia dei caratteri e delle frecciate (anche in alcuni momenti sottili, ma non per questo meno efficaci, che Ivano De Matteo vuole lanciarci).
Dalla notte si passa ai colori freddi, a tratti nebbiosi (fotografia di Maurizio Calvesi)) della ricca provincia del Nord Est (si è girato a Bassano del Grappa), bastano pochi minuti per riuscire a inquadrare i nostri protagonisti. Giorgio (Marco Giallini) fa l’uomo di successo, facendo il bello e il cattivo tempo con la moglie ricca di famiglia, Diletta (una Michela Cescon che conferma la sua abilità nei cambi registro e l’espressività di sguardo). Massimiliano Gallo incarna il commissario Panti e lo fa stando alla larga dallo stereotipo collaudato, si sente che c’è lui dietro quell’interpretazione dalle varie sfumature in cui ora deve valere l’ “arte di arrangiarsi” alla napoletana maniera, ora basta uno sguardo (inafferrabile e misterioso) per mettere tutto a tacere. Ci piace completare il parterre citando Erica Blanc (giusta nel ruolo affidatole), Bebo Storti (il dott. De Santis ora cinico, ora quasi don Abbondio) e Vinicio Marchioni nei panni di don Carlo (con un lavoro attoriale che in alcuni punti trasmette più coi gesti, con gli atti, che con le parole “da prete”).
Al centro troviamo la famiglia borghese, spesso indagine per il regista de La bella gente, scandagliata in poche ore, passando dai toni della commedia (più avvertibili di giorno) a quelli del noir di notte in cui emerge il lato nero anche dell’individuo meno insospettabile. «La prima parte è come un imbuto, poi lo spettatore viene portato per 45 minuti dentro questo luogo-non luogo che è la villetta, altro attore fondamentale del film», ha evidenziato De Matteo (co-sceneggiatore con Valentina Ferlan).
In campo ci sono, in particolare, due donne e mamme: da un lato Diletta (non è casuale questo nome sia per la sua forte devozione ecclesiastica, ma anche perché è la “prescelta”, colei che mossa dalla paura crea un’azione (ir)reperibile. Dall’altro lato abbiamo Sonja (Cristina Flutur), una rumena devota al lavoro, abituata a star zitta anche se si vien trattati inferiormente perché “stranieri”, colei che ha “scelto” pure per suo figlio maggiore Adrian (Ioan Tiberiu Dobrica) che l’Italia poteva costituire una nuova possibilità. Attenzione, però, questa donna a servizio della madre di Diletta (la Blanc) rifugge l’immaginario della straniera che cerca fortuna da noi, rivendica la propria dignità e va in giro a testa alta.
«I sette vizi capitali incarnati dai sette protagonisti si palesano ai nostri occhi quasi con innocenza. Nessuno è accusabile di nulla anche se, tutti insieme, si macchieranno del peggiore dei peccati» (dalla scheda). «Certe cose è meglio non dirle mai», si “sentenzia” acutamente, eppure Villetta con ospiti non ha timore di mostrare a cosa possa ridursi anche l’essere “per bene” fino a costruire una vera e propria pièce pur di salvarsi. Qualcosa potrete intuirla, ma non vogliamo addentrarci troppo nello sviluppo drammaturgico perché per quanto, a un tratto, la piega possa diventare intuibile, maschere, fragilità, non detti vengono esplicitati (complice anche lo studiato montaggio di Marco Spoletini) come se fossero uno schiaffo amaro, ma senza urla né semplicistica retorica e questo sta a noi digerirlo, tanto di più di fronte al punto nodale: la difesa personale e la paura dell’altro.

Maria Lucia Tangorra

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