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Vienna Calling

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VOTO: 6

I predatori dei denti perduti

Nella rosa dei quattordici titoli selezionati per la sezione “Visti da vicino” della 37esima edizione del Bergamo Film Meeting, Vienna Calling è senza dubbio alcuno l’oggetto filmico più strano e non meglio identificato. La pellicola di Petr Šprincl, infatti, si aggira come un UFO nello sterminato e variegato universo del cinema del reale, sfuggendo volutamente a qualsiasi tentativo di catalogazione. Proprio questa sua natura indecifrabile, figlia di un DNA che mescola senza soluzione di continuità modus operandi e ingredienti diversi ne fa un’opera da guardare con attenzione e curiosità. Al suo interno trovano spazio realismo ma anche tanta costruzione a tavolino, che vede l’imprevedibilità del documentario passare il testimone a moltissime situazioni indotte o ricostruite, come nel caso del macabro incipit. Ciò fa del lavoro del cineasta ceco una docu-fiction a tutti gli effetti, unica etichetta che ci sentiamo di appiccicargli addosso. Il resto va scoperto attraverso la visione.
Ma facciamo un passo indietro per entrare nello spirito di un’operazione assolutamente fuori dagli schemi e perdonateci la terminologia anche fuori di testa. Vienna Calling è un folle road movie incentrato sull’ultimo viaggio delle protesi dentali di due giganti della musica: Johann Strauss e Johanness Brahms. I loro corpi sono stati riesumati illegalmente nel 2002 dalle loro tombe al cimitero centrale di Vienna da Ondrej Jajcaj, un trafugatore di tombe che si proclama filosofo e artista. Jajcaj e i suoi compagni di viaggio attraversano la campagna in una carovana di morte trainata da cavalli, compiendo il loro destino. La carovana è un portale per il mondo di Jacjaj, che inghiotte i visitatori che casualmente incrocia lungo il percorso, così che il cerchio si chiuda.
La sinossi è utile a disegnare i contorni del progetto, ma non a riassumere completamente cosa esso sia. Il documentario di Šprincl è un patchwork audiovisivo pervaso da cima a fondo da un’anima turbolenta di dadaismo, illegalità e situazionismo. Un’anima che è al contempo croce e delizia, poiché l’abbondanza di colori e soluzioni presenti sulla tavolozza da una parte catapulta il fruitore di turno in una serie di grotteschi e divertenti trip a base di sonorità elettro-punk, dall’altra provoca una perdita della la bussola e di controllo, in particolare quando l’autore cerca a suo modo di assecondare sempre e comunque la follia del protagonista e le sue strambe teorie. Questa mancanza di misura nel restituire sullo schermo il ritratto multiforme di Jajcaj è il limite di un’operazione che assomiglia tanto ad una maionese impazzita. Ciononostante, Vienna Calling sa essere a suo modo una riflessione sui generis sui temi della morte, sulla paura che si ha nel non conoscerla, sull’aggressività e anche sulla violenza.

Francesco Del Grosso

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