L’islam, la morte… l’amore
Per descrivere una società e le leggi che la governano, spesso non c’è forma migliore che utilizzare della sana satira. Raccontare le vicende della vita (dolci o amare che siano) attraverso l’ironia, utilizzando a volte toni ameni e altre volte screziature abbastanza amarognole. William Shakespeare lo aveva capito molto bene, e inseriva nei suoi testi lo stupido/pazzo (il fool shakespeariano), un personaggio fuori dagli schemi che con un ricercato gergo verbale lanciava appuntite frecciatine o insinuava il dubbio negli interlocutori. Until the End of Time, pellicola vista al Festival Cineuropa#32 ed etichettata in modo limitato come opera prettamente drammatica, ha sia una vivace ironia e sia un tipico fool, rappresentato dal personaggio di Nabil, che con le sue bislacche sentenze pone l’accento sulle anacronistiche leggi dell’islamismo nel nuovo millennio. La pellicola è una commedia che con il suo tocco leggero riesce a indagare – e fustigare – in modo più approfondito di molte altre opere di carattere serioso.
Until the End of Time (titolo originale IIa akher ezaman) è l’esordio registico nel lungometraggio della giovane Yasmine Chouikh, intravista come attrice nel 2002 nel dramma Rachida di Yamina Bachir Chouikh (che è sua madre). Un debutto, di cui ha curato anche la sceneggiatura, molto convincente e già molto applaudito, e non a caso la pellicola è stata designata per rappresentare l’Algeria per concorrere all’Oscar come miglior film straniero alla 91º cerimonia dell’Accademia. Nel mappare questa commedia, la Chouikh ambienta tutta la vicenda in un remoto piccolo paese, in modo tale da far risaltare maggiormente le ataviche tradizioni islamiche che regolano la società e gli abitanti che vi abitano. È in questo ristretto cerchio urbano che si muovono i due personaggi principali, un uomo e una donna anziani, deferenti verso il proprio credo, ma in cerca della felicità. Joher, giunta in questo borgo per rendere l’ultimo saluto alla sorella morta, è una donna che ha vissuto sotto il dettame religioso e matrimoniale per molto tempo. Alì è il solitario guardiano del cimitero, che vedendo Joher s’innamora. Intorno a loro c’è il popolo, che è come un coro che li guarda e li giudica. In pratica il paese è una piazza e la gente rappresenta delle ciarliere comari.
Alla pellicola basta poco per emozionare e far riflettere. Le gags sono semplici, lambiscono la pochade, come ad esempio i fraintendimenti (Joher scopre che la sorella non era una prostituta, oppure Joher esce dalla casa di Alì e viene percepita come una peripatetica). E la pellicola diviene anche una riflessione, tenera, sull’amore nella terza età. Eppure questa soavità di racconto e di regia, cela dietro delle vigorose staffilate critiche. Nabil, che ha una mentalità aperta (veste una t-shirt della Coca Cola), è lì che punzecchia lo status quo di un paese ancora legato a regole vecchie di millenni, soprattutto in ambito mortuario. Attraverso un dolce andamento, Until the End of Time porta avanti uno stratificato racconto, tanto intimo (la storia tra i due personaggi) quanto una salace descrizione della società. Ulteriore virtù del film è che la regista avrebbe gioco facile nel condurre la storia verso una fine semplice e sperata, eppure ecco che con un colpo di coda lascia con l’amaro in bocca. In questa divertente e colorata rappresentazione, gli attori sono tutti perfetti, tra cui spicca Jamila Arres nel ruolo principale. E il personaggio di Nabil (Mehdi Moullay), con le sue battute sulla religione islamica, sembra partorito da Woody Allen.
Roberto Baldassarre