Le riparazioni
Nella sua quasi quarantennale carriera d’attore, Vincent Pérez ha interpretato un significativo numero di film in cui ha vestito il ruolo di spadaccino e il combattimento nelle sue diverse espressioni ha avuto un peso sostanzioso nell’economia della timeline: dal Cristiano de Neuvillette nel Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau al Barone di Sigognac in Il viaggio di Capitan Fracassa di Ettore Scola, dal Duca Philippe di Nevers de Il cavaliere di Lagardère di Philippe de Broca al Fanfan La Tulipe della pellicola omonima di Gérard Krawczyk tanto per fare qualche esempio. Era inevitabile allora che qualora fosse passato dietro la macchina da presa avrebbe prima o poi dedicato una pellicola all’arte del combattimento. Intenzione e desiderio, questi, che si sono concretizzati nel sua quarta prova da regista, dove tra l’altro si è ritagliato un personaggio che guarda caso fa della spada e del duello la propria ragione di vita e di morte. Si tratta di Une affaire d’honneur (Edge of the Blade), presentato nella sezione “Anteprime Internazionali” della 15esima edizione del Bif&st, laddove per l’occasione l’attore e regista svizzero ha tenuto una masterclass ed è stato insignito dalla direzione artistica della kermesse pugliese del prestigioso Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence.
Per trovare un plot che si potesse sposare con le suddette esigenze Pérez e la compagna di scrittura oltre che di vita Karine Silla si sono letteralmente messi a sfogliare nei libri di storia. La ricerca li ha portati ad avvolgere le lancette dell’orologio sino alla Parigi del 1887, dove sfidarsi a duello era l’unico modo di difendere il proprio onore. Ed è qui che Clément Lacaze, un carismatico maestro d’armi, si trova invischiato in una spirale di violenza distruttiva. Ed è sempre qui che conosce Marie-Rose Astié, femminista della prima ora, e decide di insegnarle la complessa arte del duello. Insieme, affronteranno provocazioni e uniranno le forze per difendere il proprio onore.
Come nei precedenti lavori da regista, tra cui Lettere da Berlino, al di là dei risultati e dai riscontri ottenuti, Pérez ha saputo trovare in vicende e dinamiche del passato delle argomentazioni dal peso specifico rilevante che potessero in qualche modo coinvolgere il presente. Come accaduto per il film del 2016, anche in Une affaire d’honneur, le siderali distanze temporali che separano la storia narrata e l’oggi si accorciano quel tanto da permettere al regista di Losanna di portare sullo schermo un period-drama che ha nel proprio codice genetico narrativo e drammaturgico inneschi capaci di generare spunti di riflessione su temi importanti e di strettissima attualità. Lo fa dipingendo da un’angolazione interessante un ritratto approfondito di un certo periodo e delle diverse forze sociali in gioco, ma anche un plot con e attraverso il quale si affronta il concetto di onore da un punto di vista che non è solo un affare di uomini. Ecco che la pellicola in questione allarga e di molto il proprio orizzonte narrativo e tematico per mettere sul piatto della bilancia anche il ruolo della donna nella società dell’epoca e di riflesso in quella dei giorni nostri, nella quale ieri come oggi è ancora costretta a combattere contro il pregiudizio, le violenze, il patriarcato e le disparità. In tal senso, il personaggio di Marie-Rose Astié, interpretato con grande presenza fisica e coinvolgimento emotivo da Doria Tillier, si fa portabandiera e veicolo di tali rivendicazioni, impugnando una spada per combattere per se stessa, per tutte le donne come lei e di riflesso per la causa che ha deciso di difendere a rischio della sua vita.
Une affaire d’honneur non è però solo un contenitore e portatore sano di argomentazioni di una certa rilevanza, ma è anche un discreto film di genere che, partendo dal dramma storico in costume (da sottolineare anche il lavoro molto accurato sulle scenografie e sui costumi, rispettivamente per mano di Jean-Philippe Moreax e Madeline Fontaine) si veste con lo scorrere dei minuti tanto in un revenge-movie quanto in una sorta di sport-drama che chiama all’appello la nobile arte della scherma. Il meglio dal punto di vista registico è infatti nelle scene dei duelli, messe in quadro con notevoli capacità tecniche e scenografiche anche grazie al contributo della fotografia di Lucie Badinaud e del montaggio di Sylvie Lager. L’unione del resto fa la forza, con le performance di Roschdy Zem nel ruolo del protagonista e dello stesso Pérez in quello del colonnello Berchère che completano l’opera, dando alle numerose sequenze d’azione presenti lungo la timeline (su tutte la resa dei conti a cavallo a colpi di sciabola) un’impronta realistica quanto spettacolare. Il ché consegna allo spettatore di turno anche una buona dose di intrattenimento, tensione e adrenalina.
Francesco Del Grosso