Tutti pazzi per Glo
Peter Bogdanovich – tanto glorioso quanto poliedrico cineasta autore di pellicole considerate ormai alla stregua di classici come lo splendido esordio Bersagli (1969) o L’ultimo spettacolo (1971) – ha superato la boa dei settantacinque anni. Vedendo questa sua ultima fatica registica intitolata Tutto può accadere a Broadway (She’s Funny That Way nell’originale, cioè Lei è divertente così com’è) peraltro risalente al 2014, non si direbbe affatto. Vero è che il suo si conferma un cinema fuori dal tempo, che guarda agli schemi da commedia pura della Hollywood degli anni d’oro ma al contempo innervandoli di una superficialità, nei personaggi, tipica della contemporaneità. Tuttavia ciò che sorprende in misura maggiore è l’abilità quasi cronometrica con cui l’anziano regista maneggia un sottogenere delicato quale la vecchia, adorabile pochade di origine francese. Tanti personaggi collegati tra loro da rapporti più o meno di carattere sessual-sentimentale, in cui i confini tra i due aspetti sfumano sino a sovrapporsi perfettamente, nel nome di una consequenzialità del tutto aderente al reale. Equivoci quindi a volontà, sviluppi inaspettati e quant’altro serve a spiazzare continuamente lo spettatore. Tutto può accadere a Broadway pare un girotondo amoroso girato da un Woody Allen (il suo La dea dell’amore potrebbe rappresentare un paragone calzante con il film di Bogdanovich) senza freni inibitori a livello di sceneggiatura dove personaggi “impazziti” cercano la felicità – frase chiave “il miglior posto del mondo è quello in cui si è felici“, per l’appunto – nei modi più assurdi e strampalati e tuttavia sempre ricollegabili alla ricerca della cosiddetta anima gemella.
Al centro della vicenda, raccontata soggettivamente a posteriori proprio dalla lei del titolo originale, capace di fare della sua ingenua goffaggine un’incredibile strumento di seduzione, c’è Isabella Patterson (Imogen Poots), giovane e spontanea sognatrice di una carriera da attrice ma intanto impegnata come escort part-time con il nome d’arte di Glo. Decisivo sarà l’incontro con il regista teatrale Arnold Albertson (Owen Wilson), eccentrico filantropo nei confronti di giovani prostitute da “redimere”. Da qui in poi si scatena un susseguirsi di eventi difficile da immaginare e, compito ancor più impegnativo, da raccontare. Solo da vedere, tenendo presente che l’effetto farsesco talvolta sfugge di mano a Bogdanovich e alla co-sceneggiatrice Louise Stratten (sorella della tragicamente scomparsa, molto giovane, Dorothy, interprete di … E tutti risero, altro classico di Bogdanovich del 1981), creando un certo effetto di saturazione in chi guarda. Peccato comunque abbastanza veniale, poiché l’abbattimento della parete invisibile che divide vita e palcoscenico – ovviamente nell’ambito della finzione cinematografica – riesce in maniera compiuta, confondendo ad arte (proprio il caso di dirlo…) i due piani narrativi sui quali si svolge la vicenda. Un po’ come accadeva in un altro lungometraggio diretto da Bogdanovich, il sottostimato Rumori fuori scena realizzato nel 1992. Con la morale, assieme facile da enunciare in un film ma assai complicata da raggiungere nella realtà effettiva, che il tanto agognato processo di realizzazione nella vita può concretizzarsi pure attraverso i percorsi più semplici e a portata di mano, anche se l’essere umano sembrerebbe di natura irresistibilmente attratto dalle complicazioni esistenziali. Una ricetta servita da un cast perfettamente a proprio agio, con tanto di simpatica apparizione finale di Quentin Tarantino, ormai perfettamente immedesimato nel suo ruolo di “nume tutelare” altrui. Una figura di riferimento che farebbe davvero comodo a molti, oggi spesso in viaggio senza bussola.
Senza gridare al capolavoro, la visione di Tutto può accadere a Broadway giustifica il recupero nelle sale di un film passato, con generali apprezzamenti critici, alla Mostra del Cinema di Venezia addirittura lo scorso anno. Si ride talvolta di gusto, si sorride quasi sempre e si riflette al temine della proiezione sugli imprevedibili – ma non poi troppo – intrecci del Caso. Gli stessi che il Cinema moltiplica in misura esponenziale traendo ispirazione da ciò che accade appena oltre lo schermo. Basta spostare di qualche metro lo sguardo…
Daniele De Angelis