Un figlio di…
Trent’anni fa, nel 1988, uscì la pellicola Dirty Rotten Scoundrels, una commedia abbastanza caustica diretta da Frank Oz e interpretata da Michael Caine e Steve Martin. Tradotta in italiano, con il solito raffinato stile della nostrana distribuzione, in Due figli di…, vedeva due farabutti che cercavano di conquistare e fregare una giovane ereditiera. Uno dei due personaggi, Freddy Benson (Steve Martin), giungeva persino a fingersi paraplegico per destare nella ricca giovane compassione e conquistarla (ma solo per rubarle il denaro). Steve Martin, con la sua faccia da figlio di buona donna e i capelli bianchi ben pettinati, aveva creato delle divertentissime scene demenziali giocando con la sedia a rotelle e il finto handicap. Nel 2018, nella commedia francese Tout le monde debout c’è una situazione simile, però l’evoluzione di questo inganno è molto diversa e meno demenziale.
Tutti in piedi – questo il titolo italiano – è la commedia che segna il debutto alla regia di Franck Dubosc, molto più noto come attore e comico, che ha preso parte a film comici di grosso successo (ad esempio Asterix alle Olimpiadi). Dubosc decide di esordire e si arrischia in una commedia che dietro la risata facile di molte scene, vuole anche condurre a lato la riflessione. Autore anche della sceneggiatura e protagonista, si potrebbe pensare a un atto totalmente egocentrico; però mentre la pellicola scorre, si nota e si apprezza che Dubosc non ha strafato, sia nello script e sia nella recitazione. Anzi, si apprezza lo spazio che dedica agli altri attori e come porta avanti, abbastanza umilmente, la storia, seppure non sia completamente perfetta. Il debuttante regista affronta il tema dell’handicap con un’attenta ironia, che comincia in modo caustico con anche qualche scena demenziale, e approda a una commedia romantica, in cui la risata grassa fa spazio al sentimento e che può generare anche una lacrimuccia. La storia di Tutti in piedi potrebbe essere incasellata nel genere bildungsroman, avendo il protagonista Jocelyn, faccia da malandrino e capello bianco, una mentalità adolescenziale, ancora in piena fase puberale (scommettere di conquistare una donna, portarla a letto e poi passare a un’altra preda). Nello svolgersi della vicenda, però, il personaggio viene costretto a intraprendere, attraverso il confronto con Florence (Alexandra Lamy), un percorso di maturazione, che lo fa passare da un atteggiamento di pura immaturità e vanità, a una condotta adulta e riflessiva. Anche in questa pellicola il “french-touch” si fa nuovamente notare. Tutti in piedi non è una storia completamente aderente alla realtà e un profondo spunto su un tema delicato, come accade in molte altre commedie d’oltralpe; e ugualmente non è una pellicola perfetta, sbilanciandosi completamente nella parte finale, divenendo troppo zuccherosa, però conferma come si possano fare commedie spiritose – e in un certo qual modo riflessive – con tatto e gusto. Ad esempio, sul tema della tetraplegia c’era stata anche una riuscita commedia italiana, costruita con un medesimo percorso di maturazione. Era Perdiamoci di vista di e con Carlo Verdone e una giovanissima e bravissima Asia Argento.
Roberto Baldassarre