Chi semina vento raccoglie tempesta
Il male non nasce mai autonomamente, ma viene creato, come il bene. Il motto popolare “chi semina vento raccoglie tempesta” è uno dei modi che la sapienza popolare ha trovato per tentare di spiegare questo concetto. Un tentativo lo fa anche il regista tunisino Amine Lakhnech con questo cortometraggio, True Story, sua opera d’esordio in concorso al 30° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina. Pera farlo dà vita ad una favola dark dal risvolto morale sulla diversità che ci parla di una bimba che nasce con il cuore troppo grande e viene tenuta per anni segregata.
La forma è in certo qual modo interessante. L’habitus è quello dell’opera di genere, segnatamente ci troviamo nell’alveo dell’horror demoniaco. La fotografia in bianco e nero ed un forte uso della camera digitale riportano alla mente certo cinema americano degli anni Duemila; pensiamo a 300 di Zack Snyder e Sin City di Robert Rodriguez. Tutti questi elementi estetici, legati all’uso di una voce narrante esterna, elemento solo parzialmente riconducibile alle influenze precedentemente citate, e che giunge a chiamare direttamente in causa lo spettatore, portano a leggere la pellicola come un tentativo di sintesi tra cinema americano/europeo e cinema africano. Sommando quindi estetica tipica di certo cinema americano, influenze gotiche dall’Europa e la tradizione favolistica orale tipica di tanti paesi dell’Africa; parallelamente a tutto questo, invitare ad una riflessione sull’impatto delle nostre azioni nella società e sulle storture che atteggiamenti oscurantisti possono creare ed i danni che inevitabilmente comportano non solo a chi le subisce direttamente ma a tutti i suoi componenti. Ciò a cui assistiamo è la discesa all’Inferno di uno spirito innocente, pervertito non da una volontà propria o da una eredità spirituale, ma dalle azioni scellerate e dall’indifferenza di coloro che lo circondano. Nel suo complesso la pellicola si offre come opera di non facilissima decrittazione, la sintesi di tante influenze lontane tra loro può lasciare in qualche modo interdetti. Siamo di fronte ad un cinema americano/europeo in Africa o ad un cinema africano proiettato verso l’Europa? La verità, come spesso succede, si trova probabilmente nel mezzo. Siamo di fronte ad un’opera frutto di quella mescolanza pressoché unica di popoli, tradizioni, mondi che è il Mediterraneo. La cultura del Mediterraneo è per sua stessa natura, fin dai tempi più antichi, caratterizzata dal meticciato. Lo stesso regista, in fondo, corrobora questa nostra asserzione dichiarando che questo suo è un film sperimentale, nato e prodotto in maniera intuitiva, basato sulle sue influenze ed il suo background. Lackhnech è un figlio della cultura del Mediterraneo, e come tale ha prodotto un film meticcio frutto delle influenze più diverse e che perciò, a seconda di chi lo guardi, può parlare in modo diverso, assumere diversi significati pur mantenendosi chiaro nel messaggio centrale alla base di tutto.
Luca Bovio