Quand’è che una donna può essere definita una madre?
Come si determina l’istinto materno? Esiste poi? Domande sulle quali ancora oggi si continua a discutere ed interrogarsi.
È giusto riflettere sulla maternità e su quale parte essa rivesta nella determinazione del ruolo della donna nella società. Lo fa anche la regista giapponese Naomi Kawase in questo suo nuovo film, True Mothers.. Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Mizuki Tsujimura il lungometraggio si concentra sul concetto di maternità. La Kawase, portando avanti il suo cinema sempre innervato da un’occhio documentario e semi-biografico, con tematiche ricorrenti di ricerca di un parente da parte dei protagonisti e del rapporto con la realtà rurale del Giappone, gran parte della pellicola è girata nella prefettura di Nara, ci parla di cosa significhi essere una madre nel Giappone attuale.
Il film è molto delicato e, indubbiamente, di spirito giapponese nel suo tenere sempre sotto-traccia il conflitto. Tuttavia non c’è nulla di idilliaco. Forse un po’ forzatamente formale, il film mantiene comunque una direzione sempre precisa nel descrivere le varie figure di madri che incontra. Uno degli elementi formali che più colpiscono nella pellicola della Kawase è l’assenza di spazi aperti.
O meglio, gli spazi ci sono ma la regia si preoccupa di escluderli dando l’idea di un mondo clautrofobico e quasi tirannico nella sua ricerca dell’equilibrio e della sintesi. In Giappone ognuno ha un ruolo, e ogni ruolo ha i suoi doveri. Le deviazioni non sono ammesse. Questo può essere soffocante. Lo sguardo femminile della regista nonmanca certo di sottolinearlo in un film di donne, nel quale gli uomini sono accessori. Si è parlato di una certa forzata formalità dell’impianto narrativo, e lo confermiamo; l’unico frangente nel quale questo si dissolve è in una breve sequenza girata all’associazione Baby Baton, che ha un taglio documentaristico. Qui si scioglie tutta la formalità della regia per restituirci uno sguardo ed un sentimento più veri. Non è insolito che la Kawase inserisca simili frammenti nelle sue opere, ha pur sempre iniziato come documentarista, ma qui assume un rilievo particolarmente forte, come se fosse il solo momento nel quale la regista riesca davvero ad esprimere quello che sente, quando non è più ingabbiata dallo stesso formalismo da lei creato.
Siamo senza alcun dubbio di fronte ad un’opera molto fine di un’autrice matura, ma che forse tradisce una certa aridità dell’ispirazione che solo parzialmente viene riscattata dalla maestria della stessa. Si avverte, comunque, che sotto la superficie formale si cela un magma di tensione e di desiderio di raccontare una storia molto sentita. Purtroppo la regista non sembra aver trovato la strada migliore per farlo, benché il film rimanga estremamente godibile e fluente, riuscendo ad avvincere lo spettatore in questa storia che mescola denuncia sociale e dramma privato, nella quale i destini di due donne, due madri, prima si sfiorano e poi si incontrano, senza però sapere a che cosa questo porterà.
Luca Bovio