Artistici tradimenti
Philip Roth e il cinema. Un rapporto a dir poco tormentato. In pratica quasi una rappresentazione di secondo livello delle vicissitudini emotive dei suoi personaggi. Trasposizioni che hanno sempre tradito lo spirito di fondo dello scrittore statunitense, molto critico nei confronti degli stereotipi imperanti nella società americana e non solo. La macchia umana (2003), Lezioni d’amore (2008) e American Pastoral (2016), opere in cui i rispettivi registi hanno preferito sottolineare gli aspetti melodrammatici delle varie vicende con il chiaro intento di guadagnare in appeal popolare. E tuttavia fallendo sistematicamente l’obiettivo ultimo. Lo scomodo testimone è allora passato tra le mani di Arnaud Desplechin, autore ormai da tempo consolidato in possesso di una propria, inconfondibile, poetica. Ed il risultato finale segna uno scarto decisamente superiore rispetto ai lungometraggi appena citati.
Tromperie – Inganno – presentato in anteprima nella sezione Cannes Premiere del Festival di Cannes 2021 – è infatti un film denso e problematico, capace di veicolare quintessenziali interrogativi piuttosto che fornire facili e scontate risposte. Al centro del discorso la presunta (molto presunta…) egemonia culturale maschile, incarnata dalla figura dello scrittore Philip (benissimo interpretato dall’eclettico Denis Podalydès, intellettuale ironico e cinico, con più di qualche sospetto “autobiografico”), uomo di mezza età sposato nella Londra anni ottanta ma alle prese con parecchie relazioni extraconiugali. Tra le quali quella con la bellissima, volutamente anonima, Léa Seydoux, a propria volta infelicemente maritata con giovanissima prole ed in perenne, inquieta, ricerca di realizzazione esistenziale. Un giorno però la moglie di Philip posa casualmente gli occhi sul taccuino di appunti in cui il marito annota scrupolosamente le proprie avventure sessual-sentimentali al di fuori del matrimonio. Lui si giustifica affermando che si tratta solo di tradimenti virtuali, operati attraverso personaggi di fantasia di un romanzo che sta scrivendo. Dove alligna allora la verità? Quanto è labile il confine tra realtà e finzione? Attorno a tali, determinanti, quesiti Desplechin imbastisce un ordito di gran classe registica, derogando in buona parte dall’impetuoso flusso di coscienza e ricordi che ha caratterizzato il suo cinema personale per dedicarsi ad un’esplorazione minuziosa dei sentimenti umani. In un’opera che non teme deviazioni e rallentamenti, accogliendoli anzi come parte integrante di una messa in scena per nulla conciliante verso il pubblico. Se ciò può ingenerare in chi guarda una vago sospetto di intellettualismo e compiacimento, ci pensa la riflessione sui massimi sistemi operata in Tromperie a fugare ogni dubbio. L’inganno del titolo, anche in quello originale, pur dalle molte sfaccettature, riguarda soprattutto il protagonista maschile verso se stesso, con la vecchiaia alle porte e la morte fisica che incombe. Ecco allora la costituzione di una rete di rapporti ambigui con l’altro sesso (molto significativo anche quello con la malata terminale Rosalie, interpretata dall’eccellente Emmanuelle Devos), abbastanza patetico tentativo di opporsi in qualunque modo possibile alle inevitabili leggi di Natura.
Si potrebbe dunque definire Tromperie come la brillante e vitale, dal punto di vista cinematografico, messa in quadro di un inevitabile crepuscolo intellettuale. Con il sesso e le varie implicazioni sentimentali da usare come arma per combattere una “guerra” senza nessuna possibilità di vittoria. Il tutto illustrato con classe sopraffina in un lungometraggio capace di sussurrare parole nuove ed originali in materia di (complicati) rapporti tra uomo e donna. A patto che ci sia la disponibilità a tendere l’orecchio all’ascolto.
Daniele De Angelis