Non è un paese per vecchi agricoltori texani
La 40ma edizione del Fantafestival ci ha regalato anche, come di consuetudine, qualche deliziosa incursione nell’immaginario anni ’80. Uno sguardo retrospettivo immancabile ed assai gradito. Ma se con Video Killer (1988) abbiamo riscoperto un piccolo, intelligente cult movie, lo sgangherato Transformer (criptico e pacchiano titolo italiano che fa a gara con quello originale, il non meno farsesco Bloodsuckers from Outer Space) sconfina invece nel trash puro con la proverbiale grazia dell’elefante in un negozio di cristalli. Ma ciò lo rende anche, paradossalmente, divertente e godibile. Sicché quel voto così severo, 4, col quale abbiamo introdotto la pellicola, rappresenta più un monito per chi voglia avventurarsi in tale visione senza istruzioni per l’uso; mentre chiunque sia alla ricerca di un “guilty pleasure” cinematografico grezzo e senza alcuna ambizione estetica potrebbe addirittura capovolgere la valutazione, dopo aver trovato pane per i propri denti ed essersi fatto qualche fragorosa risata.
Girato nel 1984, il film del volitivo Glen Coburn si rifà goliardicamente alla fantascienza americana anni ’50, mescolando tra loro uno spirito alla Ed Wood (che il titolo originale sembra del resto omaggiare) e soluzioni espressive vicine al (cattivo) gusto della Troma, senza possedere peraltro la totale irriverenza della leggendaria casa di produzione statunitense.
La primissima sequenza è ad ogni modo vera e propria dichiarazione di poetica: tra estemporanee inquadrature degli animali della fattoria (un’autentica, simpatia ossessione zoologica, quella del regista) ed altre che alludono a qualcosa di strano nell’aria, un rozzo villico texano subisce terrificanti mutazioni, rappresentate in scena attraverso trucchi a dir poco risibili.
Da qui in poi sarà tutto un florilegio di sanguinolente aggressioni e contaminazioni a catena, coi paesani trasformati da una misteriosa forza aliena in esseri famelici dal colorito strano, a metà strada tra zombie e vampiri, mentre spetterà a una coppia di giovani innamorati il tentativo di bloccare il contagio. La loro scoperta? Il gas esilarante li protegge e nuoce alle creature…
Tutto, compreso l’apocalittico finale, è messo in scena con grossolana amatorialità; eppure i toni scanzonati ed improbabili del racconto riescono ad intrattenere piacevolmente chiunque, avvallati i goffi tentativi di fare satira del potere costituito e clonare stereotipi della science fiction d’annata, si lasci andare al divertente proliferare di situazioni involontariamente comiche ed effetti speciali da serie Z.
Stefano Coccia