L’ultima missione di Maverick è un’assurdità ma il divertimento è tanto
I tempi cambiano e anche i migliori aviatori vengono messi in disparte per i futuristici droni. Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise) è oggi un pilota collaudatore e, al momento, sta cercando di concludere un programma in cui il Pentagono non crede più, uno che vede coinvolto un incredibile velivolo in grado di toccare Mach 10, ovvero dieci volte la velocità del suono. Frustrato dall’intenzione del governo di archiviare tutto, visto che si preferisce dirottare i fondi sugli aerei guidati dal computer, Mitchell esegue comunque un volo pericolosissimo in cui dimostra la bontà del progetto, anche se nel farlo distrugge il costoso prototipo. E’ l’ennesimo atto di insubordinazione che può costargli definitivamente la carriera, una carriera che peraltro è mediocre: nonostante il suo brillante passato e il suo valore in battaglia, infatti, è ancora capitano. Anche stavolta, apparentemente, se la cava, venendo inviato, tra i mugugni dei colleghi, alla famosa scuola di volo Top Gun per essere istruttore di un nuovo gruppo di piloti. A credere fermamente in lui è rimasto solo il suo vecchio amico Tom “Iceman” Kazansky (Val Kilmer), lui sì giunto fino al grado di ammiraglio. malgrado tale potente protezione, per il veterano Maverick quest’ultimo incarico non è per nulla piacevole: si tratta di progettare una missione difficilissima, il cui obiettivo è colpire e distruggere uno stabilimento altamente protetto in cui un non precisato “stato canaglia” sta concludendo l’arricchimento dell’uranio per dotarsi di un armamento atomico. In tre settimane Maverick deve selezionare sei piloti in grado di centrare il bersaglio, per quella che appare un’impresa disperata e del cui fallimento risponderà di persona, evidentemente ormai “spendibile” visto il suo disastroso stato disciplinare. E’ chiaro che Mitchell, sul viale del tramonto, ha poche possibilità di riscattarsi. Rivedere una vecchia fiamma, Penny (la bellissima Jennifer Connelly), non fa che ricordargli un altro dei numerosi fallimenti di cui è costellata la sua vita. Il più grave, come ben sappiamo, è la morte dell’amico fraterno Nick “Goose” Bradshaw, il navigatore con cui faceva squadra, perito più di trent’anni in un incidente provocato proprio da un errore di manovra di Pete, un lutto che ancora lo perseguita. Le cose si complicano quando, tra i piloti da valutare, si presenta Bradley ‘Rooster’ Bradshaw (Miles Teller), nientemeno che il figlio di “Goose” il quale, ovviamente, non è per nulla contento di scoprire che il nuovo istruttore è Maverick. Ma il tempo stringe, la minaccia incombe, e Mitchell ha un lavoro finale da svolgere. Ma anche una sfida in cui trovare la morte oppure la tanto ambita serenità per affrontare la vecchiaia.
Attesa da anni, più volte rimandato anche a causa della pandemia da Covid-19, la pellicola di Joseph Kosinski, intitolata appunto Top Gun: Maverick, arriva finalmente al Festival di Cannes 2022 e sugli schermi cinematografici di tutto il mondo. Il regista ha già alle sue spalle l’interessante e visonario Tron Legacy (2010) e l’appassionante Fire Squad – Incubo di fuoco (2017), ma certo raccogliere il testimone di uno come Tony Scott, alla cui memoria è dedicato il film, non è impresa facile. Per cercare di portare il pubblico dalla sua parte decide allora di dispensare tante, tantissime citazioni del primo capitolo, uscito nell’ormai lontano 1986, ognuna di queste pronta a strappare più di un sorriso ai fan. L’originale, manco a dirlo, è un vero classico, dunque questo sequel deve affrontare un confronto che sulla carta sembra impossibile: forse è per questo che a più riprese cerca di restare vicinissimo al predecessore, cominciando dalla sequenza iniziale volutamente identica a quella del passato. Tre gli sceneggiatori (Ehren Kruger, Eric Warren Singer e Christopher McQuarrie) a cesellare un’operazione fatta di luci ed ombre. Cominciamo dai difetti, che comunque ci sono: la missione che viene proposta a Maverick non ha alcuna verosimiglianza, è pensata solo per essere assurdamente difficile ed è condotta contro un avversario mai citato (a quanto pare il “politically correct” ormai vieta perfino di indicare un qualsivoglia nemico). Inoltre sembra uscita da un videogioco per Playstation, è un bizzarro incrocio fra la scena finale di Guerre Stellari (1977) e l’assurda trama di Aquile d’attacco (in originale Iron Eagle II del 1988) dove Louis Gossett Jr. guidava un’improbabile forza di aerei americani e sovietici contro un nemico arabo. Benché nel 1981 aerei israeliani abbiano realmente attaccato un sito iracheno volando ad appena 30 metri di altezza (l’operazione “Opera”), siamo di fronte a qualcosa che necessita di un buon sforzo per sospendere l’incredulità. Altro problema è la squadra di piloti che Maverick deve addestrare, un gruppo in cui la caratterizzazione psicologica è davvero ridotta all’osso: c’è lo sbruffone, c’è la giovane donna che sa il fatto suo, c’è quello un po’ sfigato e via così. Una sorta di galleria di personaggi fatti con lo stampino che alla fine somigliano a tanti già visti. La presenza del figlio di “Goose” può far alzare qualche sopracciglio: nel 1986 lo abbiamo visto molto piccolo accanto al padre, dunque oggi avrebbe quarant’anni. Questo film però, come detto, è stato girato già da tempo e l’attore che interpreta “Rooster” ad ogni modo è nato nel 1987. Con un pizzico di fantasia possiamo farcelo stare dentro. Niente paura, ci sono anche i pregi. Ottimamente girato, con alcune sequenze davvero mozzafiato, non annoia mai pur con la sua durata che va oltre le due ore. E’ una storia che pigia molto sul contrasto tra passato romantico e futuro freddo, fin troppo tecnologico, dove non è detto che i piloti possano ancora fare la differenza contro le macchine che puntano a sostituirli. Come dice un ammiraglio bastardo interpretato da Ed Harris “I droni non discutono gli ordini, non si stancano, non devono neanche pisciare”. E’ pertanto un futuro oscuro quello che fa capolino, anche perché i nemici dell’America hanno colmato il gap tecnologico di una volta e, anzi, i caccia di quinta generazione che pullulano per il mondo possono facilmente avere il sopravvento su quelli in dotazione alla marina degli Stati Uniti. A proposito degli aerei, le nuove star sono gli F/A-18 Hornet, autentici protagonisti aggiunti (ma occhio alle sorprese…). Ad impreziosire il tutto c’è una splendida fotografia e alcuni momenti davvero ben riusciti, non solo le sequenze con Penny, credibili, meno scontate e sdolcinate del previsto, ma soprattutto l’incontro con l’antico compagno d’armi “Iceman”, forse la scena più bella e toccante di tutto il film. Buona l’idea di mantenere l’iconica colonna sonora originale a cui si aggiunge la canzone “Hold my Hand” di Lady Gaga, realizzata per l’occasione.
E’ una lunga, serrata avventura che diverte e coinvolge, nonostante i toni crepuscolari che adombrano specialmente la prima parte, e che si fa perdonare le numerose ingenuità di sceneggiatura grazie alle palpitazioni adrenaliniche e al piacere, innanzitutto per chi ha superato gli “anta”, di rivedere un’ultima volta in azione il vecchio Maverick. Gli anni ‘80 sono finiti da un pezzo ma sanno ancora esercitare il loro fascino. Nostalgia canaglia.
Massimo Brigandì