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Thor: Love and Thunder

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VOTO: 7.5

Roboante avventura spaziale con l’inconfondibile firma di Taiki Waititi

In seguito ai devastanti accadimenti di Avengers: Endgame (2019), avevamo lasciato Thor (Chris Hemsworth) fuori forma e in viaggio tra le stelle assieme ai Guardiani della Galassia, armato ora di “Stormbringer”, nuova arma forgiata a causa della distruzione del martello Mjolnir. Dopo tante avventure vissute, dopo centinaia di vite salvate, è evidente che il dio asgardiano si è ritrovato, ma non completamente: ha ancora bisogno della sua amata Jane Foster (Natalie Portman), nel frattempo divenuta famosa scienziata ma, sfortunatamente, ammalatasi di cancro. E, forse, anche lei non ha mai smesso di pensare a Thor. Si incontrano nuovamente in una situazione davvero bizzarra, d’altra parte siamo nel mondo dinematografico Marvel, non possiamo aspettarci niente di meno. L’alieno Gorr (Christian Bale) è un uomo disperato: un tempo molto pio, ha perso la figlia e scoperto che il dio che adorava è in realtà un narcisistico e crudele essere che disprezza qualsiasi essere vivente. Il suo unico interesse è venire venerato e ridere delle miserie umane. Gorr entra in possesso della Necrospada, un’arma potentissima capace di uccidere ogni divinità e, ormai accecato da odio e desiderio di vendetta, giura di trucidare ogni dio che abiti la galassia. Sulla strada del massacro adesso c’è proprio Asgard o meglio ciò che ne è rimasto: un villaggio di pescatori scandinavo colonizzato dai pochi sopravvissuti alla distruzione portata dalla malvagia Hela, come visto in Thor Ragnarok (2017). Accompagnato dal nuovo amico Korg (in originale doppiato dallo stesso regista Taika Waititi!), un essere composto di sola roccia, il dio asgardiano lascia i Guardiani e corre ad assistere la sua gente per scoprire, con enorme sorpresa, che Jane si trova in Norvegia perché richiamata addirittura dal fido Mjolnir, ora di nuovo integro. E, soprattutto, che la donna è capace di trasformarsi in Thor! L’inquietante Gorr, momentaneamente sconfitto, rapisce i bambini della cittadina, usandoli come esca e costringendo gli eroi a mettersi all’inseguimento. Con la loro alleata e regina di Nuova Asgard, la Valkiria (Tessa Thompson), inizia una caccia all’uomo per sventare la minaccia, una che potrebbe eliminare definitivamente dall’universo ogni divinità e portare una devastazione mai vista prima. Forse si può chiedere aiuto nientemeno che a… Zeus?
Grazie a Taika Waititi, anche sceneggiatore assieme a Jennifer Kaytin Robinson di questo Thor: Love and Thunder, torniamo a vedere sugli schermi uno dei più grandi eroi Marvel (assenti da un po’ nella nuova serie di film), immersi in un’avventura che spazia su diversi mondi. Le magie della computer grafica, e una serie di costumi meravigliosi, permettono al regista neozelandese di sprigionare il suo gusto visionario per il colore, per i contrasti forti tra guerra, farsa, commedia e dramma. Si tratta di elementi che nelle sue opere si fondono spesso, salvo poi fermare d’improvviso la “giostra” e colpire lo spettatore con momenti intensi di riflessione. Qui non si fa eccezione, a parte una prima metà della pellicola molto più incentrata sulla commedia e sui toni romantici e che, a tratti, diventa schiettamente comica. E’ una scelta che a qualcuno ha fatto storcere il naso già nel precedente Thor Ragnarok (sempre firmato da Waititi), ma che stavolta, col trascorrere del tempo, lascia il passo a toni più oscuri. Geniale una delle battaglie, girata completamente in un bellissimo bianco e nero, dove le ombre finiscono per avviluppare i protagonisti. E, a proposito dell’avversario di turno, va detto che Christian Bale fa un ottimo lavoro nel mettere in scena Gorr, spietato nella sua ricerca di vendetta, spaventoso e letteralmente divorato dall’odio e dal rancore, quasi un parallelo con il cancro che nel frattempo sta consumando Jane. L’intera narrazione è impreziosita, qualche volta perfino “coreografata”, da una colonna sonora di primo livello e caratterizzata da alcuni dei più bei pezzi mai realizzati dai Guns n’ Roses. Altra nota di merito, l’interpretazione autoironica di Russell Crowe, un Zeus strafottente ma pavido, libertino, arrogante e pallido ricordo di ciò che era un tempo, immerso in un concilio di déi indolenti a questo punto presi più da sé stessi che dai loro doveri. Uno sguardo in più sulla frustrazione millenaria dell’uomo che eleva preghiere rivolte a esseri che, in cambio, sembrano sempre offrire un disinteressato silenzio. Nelle ormai celebri sequenze dopo i titoli di coda, però, una speranza riusciamo a intravederla.
Il Thor di Waititi può essere leggero, ma non per questo superficiale.

Massimo Brigandì

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