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The Zero Theorem

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VOTO: 8

Abbastanza non è mai abbastanza

“Il tuo stile di vita è quello che più ci interessa, i tuoi sogni sono i nostri sogni, ecco perché diciamo che abbastanza non è mai abbastanza”. In strada il protagonista Qohen Leth viene letteralmente inseguito da un pannello luminoso, che scorta i passanti facendo recitare a un sorridente volto femminile questo slogan dell’immaginifica Euphoria Finance. Poi altre arrembanti pubblicità. Un maxischermo propone il motto: “Everyone is getting Rich except You”. E a seguire, in tema di religioni alternative, si scopre anche questo: “The Church of Batman the Redeemer needs You!”, con un punto esclamativo a porre ulteriore enfasi sul proselitismo dell’iperbolica chiesa intitolata all’uomo-pipistrello per eccellenza…
Ci vuole davvero poco, il tempo di questa carrellata lungo futuribili spazi urbani, per sentirsi subito “a casa”. Una casa, però, destinata ben presto a trasmettere ansia e disagio, seppur in forme abilmente smussate da una sottile ironia, poiché la dimora in questione corrisponde all’immaginario sovreccitato di Terry Gilliam, l’indiscusso Maestro la cui formidabile ambizione cinematografica (andata talvolta incontro a donchisciottesche, perniciose illusioni) ha già prodotto memorabili distopie, allucina(n)ti apologhi, grottesche visioni del nostro immediato futuro.

Finalmente il pubblico italiano potrà confrontarsi in sala con questa sua nuova visione. Sì, perché in realtà The Zero Theorem è datato addirittura 2013, ma solo adesso grazie alla buona volontà dimostrata da Minerva Pictures il film viene distribuito sugli schermi del belpaese. Era ora. E lo diciamo non per deferenza nei confronti di un simile autore, ma perché tra le opere recenti di Gilliam è questa, a nostro avviso, la più vicina all’incisività, alla penetrante satira della società contemporanea, alla poetica del controllo pervasivo e quasi onnisciente, che così brillantemente avevano espresso in passato pellicole come Brazil (1985) e L’esercito delle 12 scimmie (1995).
Un update necessario, insomma, di quel retaggio orwelliano che ha sempre contraddistinto i parti migliori di una fantasia talmente ricca, vivace, persino dissacrante. E a proposito di dissacrazioni, è una specie di cattedrale diroccata e abbandonata nel bel mezzo della stravagante metropoli, lo strano ambiente in cui vive il protagonista Qohen Leth, genio matematico circondato da avveniristiche apparecchiature sovrastate però da quel crocefisso che ha una videocamera, al posto della testa. Del resto il Grande Fratello di turno qui si chiama Management, ed esercita una sorta di “controllo gentile” (se così si può dire) su esistenze private di senso, ridotte a puro consumo di dati, di lusinghe pubblicitarie, di effimeri divertimenti.

Il complessato e totalmente fobico Qohen Leth è il classico elemento alla cui manipolazione il sistema punta, anche per dimostrare la propria forza, ma che in cuor suo aspira a sottrarsi progressivamente a tali schemi, forte di una personalità non omologabile. E a parte le pittoresche invenzioni scenografiche, che nell’affrescare una società decadente fusa coi miraggi della realtà virtuale non celano affatto le quasi nostalgiche reminiscenze cyberpunk, alla riuscita del film contribuisce anche, in buona misura, la presenza scenica del protagonista Christoph Waltz. L’attore già premio Oscar, ritratto nella circostanza coi capelli rasati e un’aria perennemente smunta, sciupata, pare catalizzare sul proprio volto e nelle frasi sconnesse, pronunciate di fronte a non meno strambi interlocutori, il background kafkiano di un plot che lo vede alle prese con un assurdo rompicapo: la dimostrazione di quel Teorema Zero, che svuoterebbe di qualsiasi significato residuale la vita e gli equilibri stessi dell’universo, rendendo paradossalmente ancor più solida l’egemonia della corporation che sostiene tale ricerca. Tra siparietti grotteschi, ambientazioni sempre più claustrofobiche e ansiogene, paradossi di natura metafisica e tante altre sfumature esistenziali, il viaggio introspettivo di Qohen Leth a.k.a. Christoph Waltz trae arricchimento strada facendo dall’incontro/scontro con diversi altri personaggi, raggiungendo probabilmente l’apice nei serrati dialoghi filosofici col “master of puppets” impersonato da Matt Damon. Ma anche le altre figure di contorno, dalla seducente Mélanie Thierry al giovanissimo Lucas Hedges, dalla psicologa informatica Tilda Swinton ai comprimari di lusso David Thewlis e Peter Stormare, fanno sì che il cast di The Zero Theorem contribuisca energicamente alla ficcante ironia, all’amarezza disincantata e alle altre felici intuizioni, regalate al pubblico più attento da questo ispiratissimo ritorno di Gilliam.

Stefano Coccia

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