La clonazione
Victor si è appena lasciato con Irene: i suoi amici e compagni di lavoro si danno quindi da fare per trovargli una nuova fidanzata. Ma Victor non vuole dimenticarla, nemmeno quando appare Lola. Improvvisamente, Irene chiama Victor e gli chiede aiuto: le persone attorno a lei si comportano in maniera differente, come se avessero perso tutti i loro ricordi e le loro emozioni. Influenzato dai film e dalle serie TV che hanno segnato la sua vita, Victor, pur non essendo in grado di trovare una spiegazione logica per quello che sta succedendo, trova la forza di trasformarsi nell’eroe che non è mai stato e andare a salvare Irene. Tutto però si complica quando i suoi amici decidono di aiutarlo.
Se leggendo la sinossi di The Year of the Plague avete provato una qualche sensazione di déjà-vu è assolutamente normale. Il motivo è dato dal fatto che l’opera terza di Carlos Martín Ferrera, presentata in concorso alla 18esima edizione del Trieste Science + Fiction Festival dopo l’anteprima al Sitges 2018, altro non è che l’adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo di Marc Pasto. Una trasposizione che nel passaggio dalle pagine del libro a quelle dello script ha però subito una serie di significativi cambiamenti che hanno preservato l’essenza, ma dall’altra parte hanno cambiato quasi interamente la pelle rispetto alla matrice. Cause di forza maggiore legate principalmente al budget hanno spinto l’autore a un riassetto narrativo e drammaturgico piuttosto drastico, che hanno portato il final cut ad un cambio altrettanto sostanziale della veste. Dal tono scuro, ansiogeno e inquietante dell’origine letteraria con stratificazioni e sottotesti annessi, si è passati ad una decisa apertura verso la commedia dalle forti venature fanta-horror.
Il cineasta spagnolo sceglie nuovi colori per la sua tavolozza e con essi ha trasposto sullo schermo una pellicola di intrattenimento non fine a se stessa come avremo modo di vedere, che attinge a piene mani dagli stilemi tipici dei suddetti filoni e dai loro immaginari per parlare anche di cose più serie. Analogie nel plot riportano alla mente un mix di film come E venne il giorno, La guerra dei mondi o L’invasione degli ultracorpi, ma la forte dose di humour nero con il quale Ferrera ha dato forma e sostanza alla timeline di riflesso ha virato il tutto verso un divertissement a tuttotondo capace di disseminare spunti di riflessione. Con questo l’autore condisce un’avventura urbana sempre e costantemente sopra le righe, che regala risate a profusione affidandosi a gag efficaci e a passaggi pirotecnici nei quali l’azione e l’elemento splatter fanno in più di un’occasione capolino. Scene come il cat fight nel magazzino del ristorante di Lola o la rissa nel vicolo sono la cartina tornasole del modus operandi.
Tuttavia The Year of the Plague, pur mantenendo dal primo all’ultimo fotogramma utile il suo spirito ludico e citazionista (l’omaggio al cinema di genere degli anni Settanta e Ottanta è chiaro sin dall’incipit), se messo sotto la lente d’ingrandimento rivela ad una lettura più attenta anche una chiave metaforica che non lo fa essere un vuoto a perdere. In tal senso, la pellicola così come il libro dalla quale nasce sono una riflessione sul senso della perdita dell’identità e delle radici, come una forma di alzheimer sociale che divora chi siamo, chi siamo stati e chi saremo. Di fatto, sotto la superficie di un’opera a prima vista frivola si possono trovare messaggi che una volta decriptati sono in grado di lasciare qualche traccia inaspettata. Ma per trovarle bisogna scavare più in profondità del solito.
Francesco Del Grosso