La Selva è vicina
Se il sommo poeta nostrano cantava, all’inizio della sua opera più celebre, di diritte vie smarrite e selve oscure da attraversare come inderogabile tappa di avvicinamento al bene assoluto, appare chiaro come le intenzioni di Robert Eggers – regista esordiente del lungometraggio già in odor di culto The VVitch – siano invece, rispetto a quelle di Dante Alighieri, di mescolare ancor di più ad arte le chiavi di lettura del proprio film, in un certo senso attualizzandolo pur ambientandolo agli albori del Diciassettesimo Secolo. Nessuno scontro palese tra bene e male, nessuna delimitazione fisica e psicologica di Paradiso e Inferno. Semplicemente – e molto più credibilmente – due dimensioni che si fanno una, fondendosi in un magma dove una distinzione manichea rifugge dall’umana possibilità di comprensione.
Siamo, come si accennava, nella prima metà del Seicento. In quel Nuovo Mondo mèta di coloni britannici affamati di una vita migliore. Molto difficile da trovare nel cosiddetto, appunto, New England. Una famiglia numerosa viene allontanata dalla comunità a causa delle posizioni religiose a dir poco estreme del suo leader, William. Convinto di essere dalla parte del giusto l’uomo conduce moglie e cinque figli – tra cui il neonato Samuel – in una pianura sperduta confinante con una foresta. Vita grama, tra giornate uggiose, raccolti miseri e cibo che viene a mancare. L’ottusa devozione del capofamiglia e della consorte ad un Dio cattolico alquanto minaccioso contribuisce ad esacerbare non poco gli animi. Situazione che comincia a precipitare quando il piccolo Samuel, inspiegabilmente, scompare nel nulla. Raccontare oltre dell’evoluzione narrativa di The VVitch sarebbe, tanto per restare in tema, peccato mortale. Ma in aggiunta ad un plot che riserva diversi colpi di scena, in un crescendo allucinante – e forse allucinatorio – quasi perfettamente modulato, i veri punti di forza del film di Eggers risiedono altrove. Innanzitutto in una ricostruzione storico-filologica di grandissima presa emotiva, che trova prezioso supporto sia in una fotografia assai suggestiva (firmata da Jarin Blaschke) realizzata interamente con luci naturali che nell’interpretazione di un cast assolutamente meraviglioso nella totale aderenza ai rispettivi ruoli. Un effetto realistico che permette ad Eggers, oltre a caricare la sua fatica di valenze antropologiche assolutamente verosimili, di instaurare una sottile dialettica tra passato remoto e i tempi che si sono succeduti fino al nostro presente su un tema sempre di grande pregnanza come quello dell’integralismo, religioso e ideologico. Osservato da Eggers, in uno dei molteplici aspetti filosofici di The VVitch, alla stregua di una logica conseguenza figlia del deleterio connubio tra isolamento e ignoranza. La fragorosa implosione del concetto stesso di famiglia – dalla notte dei tempi epicentro “culturale” della dottrina cattolica – non scaturisce solo da cause esterne ma soprattutto dalla vulgata punitiva del credo religioso di appartenenza, che vede, secondo un pensiero più volte espresso dai personaggi, l’essere umano già marchiato indelebilmente dal peccato sin dalla propria nascita. Non stupisce allora che la parabola dell’adolescente femminile in sboccio Thomasin, dal cui punto di vista privilegiato lo spettatore osserva pressoché l’intero film, si trasformi da racconto di formazione molto sui generis in una sorta di romanzo di “liberazione” finale, con tanto di epifania molto particolare nonché distacco anche fisico, oltre che metaforico, dalle miserie terrene di una Fede cieca. Nella Selva c’è la vita, c’è la sessualità istintiva e non repressa da cui trae forza vitale ogni essere umano; con tutte le sue contraddizioni e tentazioni ma con il dono prezioso di un libero arbitrio sul quale fare affidamento per poter scegliere.
Operazione di puro sofismo, a questo punto, disquisire se The VVitch – Una leggenda popolare del New England, come recita in modo evocativo il titolo originale completo, sia una versione autenticamente horror di The Village (tanto per citare un titolo tra i molti modelli ispiratori assai ben rielaborati…) oppure un rigoroso dramma bergmaniano virato in un certo qual modo al fantasy al nero e perciò condotto sino alle più estreme conseguenze. L’aspetto più importante è che, al notevole impatto di immagini impossibili da rimuovere dalla retina di chi guarda, corrisponda una profonda capacità di riflessione sulle sovrastrutture imposte che affliggono il nostro mondo ieri, oggi e domani. Un messaggio in primo luogo umanista e solo successivamente socio-politico, capace di rendere la visione di The VVitch in pratica obbligatoria anche per i non appassionati di un genere in grado, nella circostanza, di rompere con fragore i suoi argini.
Daniele De Angelis