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The Visitor from the Future

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VOTO: 7

Parigi val bene un massacro

Fermento in sala. E anche fuori: gli spettatori di questa nuova, per vari motivi attesissima edizione del Trieste Science + Fiction Festival sono stati accolti al Teatro Rossetti, prima che cominciasse la serata inaugurale, da un agguerrito e simpaticissimo manipolo di cosplayers proveniente dal locale fan club di Star Wars.
La nuova direzione artistica del britannico Alan Jones (già anima del celebre London FrightFest Film Festival) ha avuto quindi inizio in un tripudio di spade laser e sgargianti, curatissimi costumi. Più in generale si può dire che allo statuario Direttore (la prima impressione è stata che, mettendosi in punta di piedi e alzando le braccia, potesse toccare o almeno sfiorare il soffitto del teatro) non difetti certo il carisma; ma questo, probabilmente, lo si era già intuito. Pur concedendo ampio spazio agli storici collaboratori del festival, Alan Jones si è divertito ad arringare il pubblico, compensando con una verve indiscutibile lo scoglio della traduzione simultanea sul palco. E ciò lo si è notato anche al momento di introdurre i primi ospiti della serata, ovvero la piccola delegazione del lungometraggio francese The Visitor from the Future, composta da autore e attrice protagonista.

Qui però tocca essere onesti: più che nel segno della rottura, la scelta di aprire col film del francese François Descraques può essere interpretata per certi versi come un indizio di continuità, nel senso che a memoria non è la prima volta in cui produzioni cinematografiche di area francofona, connotate magari da humour particolare e trovate di derivazione fumettistica, fanno capolino a Trieste in simili frangenti. Da annotare vi è intanto il fatto che in quanto lungometraggio The Visitor from the Future è il punto d’arrivo (o magari di una possibile ripartenza, stando alle parole dell’autore, chissà) del lavoro iniziato dal piccolo staff creativo d’Oltralpe parecchi anni fa, tramite una web-serie di successo (Le Visiteur du Futur, per l’appunto) e altri materiali d’impronta multimediale.
Lo scenario affrescato in tale universo creativo è quello di una Terra al collasso, nel 2555 d.C., laddove un’esplosione nucleare avvenuta tempo prima, ahinoi proprio in Francia, ha innescato il processo di annientamento della vita sul pianeta. Davvero iconica la sagoma della Torre Eiffel che spunta semi-distrutta dalle rovine. Alcuni solitari viaggiatori del tempo vorrebbero comunque intervenire sugli eventi passati per scongiurare il disastro. Ma nel frattempo si è formata anche un’organizzatissima Brigata del Tempo militarescamente inquadrata, la quale, anche per eccesso di zelo e con l’intenzione di bloccare sul nascere qualsiasi paradosso temporale, ostacola puntualmente i piani degli altri. Saranno invece tornando ai giorni nostri una giovane attivista ecologica e suo padre, diversissimo da lei in quanto fautore della costruzione di quella stessa centrale nucleare, che fungerà in futuro da miccia per la possibile Apocalisse, l’ago della bilancia…

C’è ironia da vendere, in The Visitor from the Future. A partire da quel modo scanzonato e picaresco di riproporre i viaggi nel tempo, affine nelle intenzioni (sullo sfondo vi è sempre la salvezza dell’umanità) ma così lontano nelle modalità rappresentative dalla solennità di un Nolan e delle sue ormai famose “manovre a tenaglia temporali”. Qui più che a una precisa manovra a tenaglia temporale si assiste a un continuo procedere per tentativi, quasi come se si giocasse all’Allegro chirurgo, mettendo alla prova teorie sempre più bislacche ed approdando così a esiti che complicano di volta in volta la situazione. A tratti il mood fumettistico diverte molto, quando però il gioco si fa duro dà adito a qualche soluzione narrativa un po’ troppo semplicistica, meccanica, per quanto la posta in palio tenga sempre alta l’attenzione degli spettatori e la caratterizzazione così buffa di alcuni personaggi contribuisca ugualmente allo scopo. Ciò che ne deriva è un prodotto di intrattenimento deliziosamente artigianale nello spirito (sebbene girato con mezzi quantomeno discreti), arguto nei dialoghi, friabile giusto quando pare aspirare nella sua denuncia ecologica (sempre attuale, ma affrontata nel film tramite schemi un po’ abusati) a un maggiore spessore.

Stefano Coccia

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