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The Transparent Woman

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VOTO: 6

Amore cieco

«L’amore è bello anche quando è triste, no?» chiede Carl (Arian Levanael) alla bellissima Anna (Roberta Gemma) dopo averle suonato una dolce melodia alla fisarmonica. Il loro è un amore insolito, perché lei è completamente cieca e lui – uno sfuggente professore dagli occhi color ghiaccio – le offre tutta la sua devozione come un perfetto amante. Una relazione sentimentale che, nonostante le apparenti difficoltà, i due nutrono affinando tutte le percezioni e rendendo il loro amore ancora più profondo e indissolubile. Carl registra la sua voce, recitando una poesia, lasciandogliela in dono in modo tale che lei possa ascoltarla mentre attende il suo ritorno a casa. C’è poi la musica, davanti al caminetto, o i rapporti carnali che ritraggono il corpo dell’amata in tutta la sua generosità.
La coppia si trasferisce nella casa di campagna in cui Carl abitava anni prima e dove, dopo poco tempo, Anna inizia a percepire misteriosi rumori e a ricevere delle chiamate anonime al telefono. C’è poi una stanza chiusa a chiave, a doppia mandata, in cui lei ha il divieto assoluto di entrare. Quali retroscena nasconde questo sentimento così forte?
Domiziano Cristopharo, prolifico regista del circuito cinematografico indipendente, dirige con attenzione il film e si prende il tempo necessario per delineare ogni sfumatura che accoglie, sfama e trasforma l’ardore del coniuge. The Transparent Woman (2015) è una sorta di kammerspiel contemporaneo, in cui la distanza tra protagonisti e spettatori si accorcia rendendo le quattro mura domestiche l’unico palcoscenico in cui si sviluppa la vicenda. Ogni dettaglio della scenografia, dal grammofono fino alla collana di perle di Anna, non è casuale, ma spinge chi osserva indietro nel tempo, dentro l’aria rarefatta ed irreale dell’appartamento. È all’interno di questo luogo sconosciuto, e pian piano sempre più stringente, che la vittima del desiderio altrui si trova a doversi muovere, sviluppando le sue capacità percettive come unica bussola di sopravvivenza. Anna sfiora corpi ed oggetti, ascolta ogni vibrazione, annusa e traduce i profumi. L’unico elemento che stona all’interno della dimora è l’appendice corporea per eccellenza nel mondo contemporaneo: uno smartphone che, attraverso una particolare applicazione, racconta le fotografie scattate da Anna sostituendosi così ai suoi occhi. La cinepresa segue i ritmi del racconto, muovendosi lentamente e regalando alcuni frammenti di una location che sembra respirare e che subirà il forte contrasto con l’irreale volta celeste degli esterni. In questo plot, scritto con la collaborazione di Andrea Cavalletto (uno degli autori di Dylan Dog), il mistero fa capolino ma tende a disvelarsi in modo quasi scontato, permettendo alla pellicola di liberarsi da fastidiose etichette di genere. L’arcano nascosto nella stanza infatti passa in secondo piano rispetto all’ambigua ossessione da cui è perseguitato Carl ed al gioco delle sensazioni di cui Cristopharo intende parlarci.
La buona interpretazione della Gemma – che torna a mettersi in gioco con umiltà ma rendendo perfettamente il senso di vuoto nel quale vive Anna – sopperisce alla mancanza di dialoghi articolati e alla scarna caratterizzazione del personaggio interpretato da Levanael, talmente gelido da risultare a tratti caricaturale e mai ambiguo nel suo rapporto con il partner. Da segnalare invece la presenza inquietante, se pur brevissima, della cantante Giovanna Nocetti (che ha composto anche la colonna sonora, assieme a Salvatore Sangiovanni) nei panni di Padre Mario.
Domiziano Cristopharo continua a sperimentare, ponendosi al centro di quel crocevia di generi (dal mystery, all’erotico, al giallo ed al noir) per rendere più di un omaggio alla filmografia italiana di genere degli anni ’70. Sicuramente una scelta difficile, per un artista sempre controcorrente che si muove all’interno dell’universo delle auto-produzioni, ma che con The Transparent Woman decalca le sue scelte coraggiose anche a costo di non essere capito appieno nei viaggi introspettivi nei quali ci accompagna.

Riccardo Scano

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