Sola contro tutti
Che ne sarà dell’umanità? Si potrà mai sopravvivere a soprusi, malattie e a ogni qualsivoglia fattore che sembra portare a tutti i costi alla fine dell’umanità stessa? E, soprattutto, potrà mai la gentilezza e la solidarietà tra esseri umani avere la meglio su ogni forma di violenza? Il regista olandese, ma australiano d’adozione Rolf de Heer ha provato a dare una risposta a tali, complessi interrogativi nel suo lungometraggio The Survival of Kindness, presentato in anteprima mondiale in concorso alla 73° edizione del Festival di Berlino.
La storia messa in scena, dunque, è quella di BlackWoman (impersonata da un’ottima Mwajemi Hussein), dapprima imprigionata senza motivo apparente da misteriosi uomini che indossano maschere antigas e che pronunciano parole incomprensibili, e, successivamente, abbandonata in mezzo al deserto all’interno di una gabbia di ferro. La donna, tuttavia, riuscirà a fuggire e intraprenderà, così, un lungo viaggio apparentemente senza meta, che la porterà ad attraversare non soltanto il deserto, ma anche immense distese di verde, montagne e città abbandonate dove ancora sono evidenti i segni di una recente epidemia. Una volta raggiunti i centri abitati, la situazione sembra addirittura precipitare: gli uomini con le maschere antigas continuano a dare la caccia a chiunque sia, in un modo o nell’altro, considerato “diverso”. Potrà mai, dunque, la nostra protagonista trovare una qualche via di salvezza?
In The Survival of Kindness, Rolf de Heer si affida (quasi) completamente alla sua magnetica protagonista. Intensi primi piani su un volto ora disperato, ora disorientato, ora teneramente compassionevole nei confronti delle persone di volta in volta incontrate divengono una costante all’interno del lungometraggio. Allo stesso modo, suggestivi paesaggi, ulteriormente valorizzati da sapienti totali, vengono trattati alla stregua di veri e propri protagonisti e ci trasmettono, al contempo, un inquietante senso di agorafobia.
Rolf de Heer sa bene dove e in che modo puntare la propria macchina da presa. Questo suo The Survival of Kindness è un film di immagini, di gesti, di lunghi silenzi e di linguaggi incomprensibili, che pecca soltanto di qualche forzatura e di qualche lungaggine di troppo. Soltanto nel momento in cui ci si osserva realmente ci si riesce a capire. Anche se il nostro interlocutore parla una lingua diversa dalla nostra (particolarmente d’impatto, a tal proposito, la scena in cui la protagonista siede in riva al fiume insieme a una ragazza ormai malata, che precedentemente l’aveva aiutata a fuggire dagli uomini con le maschere antigas).
Non v’è bisogno d’altro, in The Survival of Kindness, per trasmettere allo spettatore ciò che il regista ha voluto comunicare. La lotta alla sopravvivenza di ogni essere umano si preannuncia più dura del previsto. Che ne sarà dell’umanità? Rolf de Heer sembra non avere dubbi in merito e con sguardo disincantato ci mostra un possibile scenario in un luogo senza tempo. Una favola che potrebbe accadere oggi, come domani. L’importante è non arrendersi mai.
Marina Pavido