Qualcosa era successo
Asghar Farhadi sarà anche un cineasta iraniano di nascita e residenza ma il suo modus operandi artistico lo avvicina assai di più a certo illustre cinema europeo (Claude Chabrol in primis), in grado di scardinare le ipocrisie intellettual-borghesi attraverso l’utilizzo di sceneggiature estremamente stratificate e composite nonostante in apparenza risultino fluidamente reali. Fedele a tale linea creativa è anche The Salesman (Il Cliente nella titolazione italiana), lavoro quintessenziale presentato in Concorso al Festival di Cannes 2016 – dove non certo a caso ha ottenuto il riconoscimento per la migliore sceneggiatura, unitamente a quello per il miglior interprete maschile, l’ottimo Shahab Hosseini – che segna il ritorno all’analisi della società iraniana dopo la parentesi francese de Il passato (2013).
A differenza del pluripremiato Una separazione (2011) e similarmente ad About Elly (2009), Farhadi stavolta imbastisce un vero e proprio giallo per raccontarci il malessere della classe intellettuale iraniana, in un paese privo di istituzioni guida e perciò affidato a scelte individuali dove il confine tra giusto e sbagliato risulta assai labile quando non del tutto inesistente.
Il pericolo di un crollo imminente del vetusto palazzo dove risiedono costringe la giovane coppia composta da Rana ed Emad a cambiare alloggio. Ignorando che la precedente inquilina praticasse una professione a dir poco equivoca, i due prendono possesso di un appartamento di proprietà dell’amico Babak, collega con cui stanno lavorando ad una trasposizione teatrale del celebre testo Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Una sera Rana, in procinto di farsi una doccia, sente suonare il citofono e, pensando si tratti di suo marito, apre il cancello lasciando poi la porta di casa socchiusa. Un azione di banale routine che porterà ad uno sconvolgimento totale delle loro esistenze, tra motivate reticenze da parte di lei ed esigenza di chiarezza da parte di lui.
The Salesman è un lungometraggio magistrale che instilla nello spettatore il fatidico dubbio sull’impossibilità di raggiungere una qualsivoglia parvenza di verità. Come nel citato Una separazione la moltiplicazione dei punti di vista crea una sorta di corto circuito dove parole come giustizia, vendetta, libero arbitrio finiscono per confluire in un unico magma inestricabile, dal quale è impresa a dir poco ardua riconoscere con chiarezza il torto e la ragione. L’enorme spessore morale di cui è permeato dalla prima all’ultima sequenza The Salesman nasce proprio da questa scelta radicale ed estrema compiuta da Farhadi: affidare la risoluzione del “caso” non ad un elemento esterno come la polizia – peraltro mai chiamata in causa proprio a voler simbolizzare l’abissale distacco, certamente non solo iraniano, tra intellettuali e classe dirigente – bensì alla ostinazione di Emad. E tuttavia si tratterà di una rivelazione ancora più amara del crimine compiuto, poiché precipiterà un’altra famiglia nel dramma e contribuirà ad allargare in maniera ulteriore il baratro di incomunicabilità emerso tra i due personaggi principali, gli sposi in apparenza innamoratissimi Rana ed Emad. Tutto ciò mentre Farhadi usa la commistione tra vita vera – nell’ambito della finzione, ovviamente – e rappresentazione teatrale metacinematografica come cartina tornasole di uno scivolamento irreversibile verso una deriva sia personale che sociale, peraltro scandita da una descrizione cristallina di personaggi e situazioni. Così il film stesso riesce nel suo intento di travalicare i confini di opera di finzione per compenetrarsi nell’animo di chi guarda lasciando aperte cento e più domande di inusitata profondità in luogo delle più o meno rassicuranti risposte tipiche di certo cinema di puro intrattenimento. Un effetto realistico che, come sempre accade nel cinema di Farhadi, riesce senza apparente sforzo a mascherare l’estrema abilità nella costruzione narrativa grazie ad una recitazione perfettamente aderente alla trama da parte dell’intero cast nonché, soprattutto, ad un obiettivo di fondo che vede uniti cineasta e spettatori nel medesimo percorso di ricerca etica. Dall’esito assai difficile al pari della ricostruzione di una realtà così complessa da frastagliarsi in mille altri rivoli sotto i loro e nostri occhi ogni volta che si pensa di averla, finalmente, raggiunta.
Per tutti questi – e tanti altri – motivi, The Salesman è un’opera assolutamente da non perdere.
Daniele De Angelis