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Il potere del cane

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VOTO: 7

Sotto lo stesso tetto

A ben dodici anni dall’uscita del suo ultimo lungometraggio (Bright Star, 2009), ecco che la celebre regista australiana Jane Campion torna particolarmente agguerrita in Concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con The Power of the Dog, la sua ultima fatica. Un lungometraggio che indubbiamente ha sollevato molte aspettative, dati i numerosi consensi riscossi dalla cineasta nel corso della sua lunga e prolifica carriera. E così, ecco giungere nelle sale lidensi un film corposo, importante, imponente, che al suo interno racchiude tutte le tematiche tipiche del cinema della Campion stessa.
Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage, il film mette in scena le vicende di Phil Burbank (impersonato da Benedict Cumberbatch), uno scontroso e carismatico allevatore solito incutere timore con la sua prepotenza a chiunque lo circondi. Quando suo fratello si sposa con una giovane vedova (Kirsten Dunst) e insieme alla moglie e al figlio di lei va a vivere in casa sua, sarà difficile trovare un equilibrio e risvolti inaspettati stravolgeranno l’esistenza dello stesso Phil.

Personaggi complessi, tormenti esistenziali e profondi drammi psicologici sono da considerarsi a tutti gli effetti la specialità di Jane Campion. Così è stato, giusto per fare qualche esempio, per lungometraggi come Lezioni di Piano (1993) o Ritratto di Signora (1995) e così è anche per il presente The Power of the Dog. Eppure, mentre nelle precedenti pellicole erano soprattutto figure femminili a essere messe al centro della messa in scena, qui la musica (almeno in parte) cambia. In questo caso non è (solo) una donna a essere osservata dalla macchina da presa della regista. In questa occasione è proprio il complesso personaggio di Phil a catalizzare immediatamente l’attenzione di tutti. Phil con la sua arroganza, con la sua presunzione, con la sua fredda crudeltà, ma anche con la sua insospettabile vulnerabilità.
Il sottile gioco psicologico che viene a instaurarsi tra Phil e sua cognata porta quasi all’esasperazione (in senso positivo, s’intende). Un motivetto fischiettato che ricorda la Marcia di Radetzky risuona nelle stanze della casa. Benjamin Cumberbatch osserva la donna ora da una finestra semichiusa, ora da una rampa di scale. Lo sguardo atterrito di Kirsten Dunst parla da sé. Enormi distese di verde e imponenti montagne fanno da spettatrici silenti (e vengono trattate dalla regista quasi alla stregua di vere e proprie coprotagoniste). Sono questi i momenti maggiormente d’impatto in The Power of the Dog.
Tutto perfetto? Non proprio. Pur essendo stilisticamente impeccabile e pur presentando un buon approccio registico e numerosi elementi degni di nota (in particolare per quanto riguarda l’ottima scelta del cast), infatti, questo ultimo lungometraggio di Jane Campion delude in parte le aspettative. E ciò riguarda soprattutto particolari momenti a ridosso del finale, in cui la tensione si fa sentire, ma non quanto dovrebbe, in cui i risvolti di sceneggiatura non sorprendono del tutto, in cui lo spettatore già intuisce quali pieghe prenderà la vicenda. Lo sguardo maturo c’è, il talento registico anche. Eppure, nonostante ciò, da Jane Campion ci si sarebbe aspettati molto di più. Colpa dei troppi anni trascorsi tra un film e l’altro? Può darsi. Ma, alla fine, solo il tempo potrà dirci quanto questo The Power of the Dog sarà in grado di farsi ricordare negli anni.

Marina Pavido

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