Forrest “Gun” Tucker
Viene quel giorno in cui l’addio alle scene, per quanto doloroso possa essere per il diretto interessato e per il pubblico che per anni lo ha seguito e apprezzato, appare inevitabile. E se l’addio arriva quando la carta d’identità dice ottant’anni e passa e al tuo seguito c’è un bagaglio di gloriose stagioni e di indimenticabili performance sul grande schermo, allora forse è giunto il momento giusto per appendere le scarpette al chiodo. Gli addii del resto fanno sempre male, specialmente quando arrivano troppo presto e in maniera del tutto inaspettata come nel caso di Daniel Day-Lewis, che un anno fa ha salutato definitivamente la Settima Arte congedandosi con un’ultima straordinaria interpretazione ne Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson. Ora a dire addio al cinema, ma non alla macchina da presa, è un altro grande attore del panorama mondiale e quel qualcuno risponde al nome di Robert Redford. Per farlo ha scelto The Old Man & the Gun, la pellicola di David Lowery che sarà nelle sale nostrane a partire dal 20 dicembre con BIM Distribuzione, ma non prima di avere fatto capolino sugli schermi dei festival di Telluride, Toronto e Roma.
Lowery regala al collega un finale ad effetto, non in grandissimo stile ma comunque degno di nota, con un film che a conti fatti suona come un vero e proprio testamento attoriale, nel quale il regista statunitense racchiude citazioni più o meno esplicite, immagini e situazioni evocative, primi piani e dialoghi nostalgici, per rendere il meritato e dovuto omaggio al Bob a stelle e strisce. E il tributo passa attraverso un’opera che assomiglia tanto ad una sorta di galleria di ritratti nella quale lo spettatore di turno può divertirsi a ricercare di volta in volta, scena dopo scena, le suddette citazioni (da La stangata a L’uomo che sussurrava ai cavalli, passando per La caccia e Butch Cassidy).
The Old Man & the Gun è un one man show attoriale che non nasce dalla fantasia dello sceneggiatore di turno, ma da una storia realmente accaduta, già raccontata nell’omonimo articolo scritto da David Grann, pubblicato nel 2003 sul New Yorker e successivamente incluso nella raccolta “The Devil and Sherlock Holmes”. La storia in questione è quella incredibile di Forrest Tucker, un uomo che ha trascorso la sua vita tra rapine in banca ed evasioni dal carcere. Negli anni del suo crepuscolo, dalla sua temeraria fuga dalla prigione di San Quentin a settant’anni, fino a una scatenata serie di rapine senza precedenti, Forrest Tucker disorientò le autorità e impressionò il pubblico. Coinvolti in maniere diverse nella sua fuga, ci sono l’acuto e inflessibile investigatore John Hunt, che gli dà implacabilmente la caccia ma è allo stesso tempo affascinato dall’impegno non violento profuso da Forrest nel suo mestiere, e una donna, Jewel, che ama Forrest nonostante la professione che l’uomo si è scelto.
Redford si cala nei panni di Tucker regalando alla platea un biopic parziale che restituisce gli ultimi anni della carriera criminosa del noto rapinatore di banche, passato alle cronache non per la particolare astuzia, per l’efferatezza e per la spettacolarità dei colpi messi a segno da costa a costa, ma per il suo stile da perfetto gentleman rimasto impresso nei direttori e nei cassieri degli istituti di credito che ha incrociato lungo il suo cammino. Di sangue e proiettili, infatti, non vi è traccia alcuna nelle sue gesta e di conseguenza nella pellicola di Lowery. Ciò che resta è la gentilezza e i sorrisi che ha dispensato negli anni, rapina dopo rapina. Da questo punto di vista, The Old Man & the Gun, pur se inscrivibile per DNA al ricchissimo filone degli heist and bank robbery movies non ne rappresenta il classico esempio. Trattasi più di un capitolo di un romanzo criminale non elegiaco incentrato su una figura atipica di fuorilegge che Redford impreziosisce e rende ancora più amorevole. E per facilitargli il compito, Lowery chiama al suo fianco colleghi di grosso calibro come Sissy Spacek, Danny Glover e Tom Waits, ma anche interpreti meno datati quali Casey Affleck e Tika Sumpter, che lo accompagnano lungo il racconto prestandosi a qualche sequenza davvero riuscita (una su tutte l’incontro nella toilette della tavola calda tra Tucker e colui che gli dà la caccia, ossia il detective John Hunt). A loro volta si mettono totalmente al servizio per dare corpi e voci al cast di un’opera che se verrà ricordata tra qualche anno lo sarà in primis per essere stato l’atto conclusivo offerto da Redford alle platee cinematografica. Un atto, questo, che ripensando alla sua filmografia non passerà di certo agli anali, ma che ci ritornerà alla mente tutte le volte che ripenseremo a quando abbiamo visto per l’ultima volta l’attore americano interpretare un personaggio sul grande schermo. Da questo momento in poi, se lui lo vorrà, troveremo solamente il suo nome e cognome scritto nei credits di un film alla voce “directed by”.
Francesco Del Grosso