Da Vinci o non Da Vinci?
Girare un documentario alla maniera di un thriller. Possibile. Mettendo al centro della narrazione il mistero, forse irrisolvibile, di un quadro, il “Salvator Mundi” la cui paternità molti esperti attribuiscono nientemeno che a Leonardo Da Vinci. Un fatto di cronaca che già da solo avrebbe le motivazioni per trarne un’opera di finzione. Un dipinto misteriosamente emerso in un asta a New Orleans e pagato poco più di un migliaio di dollari da un appassionato compratore. Evidentemente dotato di un buon fiuto, poiché sfiorato dal dubbio che quel quadro potesse essere di valore.
The Lost Leonardo (per l’uscita italiana Leonardo – Il capolavoro perduto), documentario di produzione franco-danese diretto da Andreas Koefoed e presentato nella Selezione Ufficiale della sedicesima Festa del Cinema di Roma. non nasconde la propria ambizione di fondo. Usare cioè un pretesto, pur molto importante, artistico per misurare la condizione di un mondo che, tra capitalismo fuori controllo e massimo potere del web, non si sente affatto bene. E noi tutti con lui. Per coloro che non lo conoscano “Salvator Mundi” pare una versione al maschile della celeberrima “Gioconda”. Un quadro cinquecentesco innumerevoli volte ritoccato. Secondo il parere di parecchie persone del campo, come premesso, possiede l’inconfondibile tocco del Maestro. Per altri potrebbe trattarsi dell’opera di un allievo, oppure di falso assoluto esaminandone i particolari. Impossibile accertare una verità assoluta ed incontestabile, anche se nel finale di The Lost Leonardo arriva l’autorevole parere della commissione del Louvre a fornire un’opinione forse definitiva. Ciò che impressiona è quello che scatena la riscoperta – definiamola così – di un quadro rimasto per lungo tempo leggenda universale. Gli isterismi del mondo globalizzato da internet si dividono immediatamente in due fazioni distinte; con le seconde, sostenitrici della versione di un colossale inganno, pronte a far circolare notizie di ogni tipo atte a smentire la veridicità del dipinto. Una situazione che ricorda molto da vicino quello che sta accadendo un po’ ovunque con la famigerata pandemia. Scatta poi l’effetto domino del denaro. Il proprietario originario lo cede per 83 milioni di dollari ad un mercante d’arte francese. Il quale lo rivende due giorni dopo ad multimilionario russo per una cifra quasi doppia. Il fiume di denaro non si arresta, poiché entra in scena il famoso – anche nel nostro paese a seguito dei viaggi di Matteo Renzi – principe dell’Arabia Saudita Mohammad bin Salman. Il quale acquista l’opera in questione per una cifra considerevolmente (eufemismo) alta. Qui The Lost Leonardo diventa puro cinema di genere, poiché l’opera in pratica scompare, inglobata tra la moltitudine di ricchezze possedute dal principe. Si vocifera che lo stesso Mohammad bin Salman si riveda nel protagonista del quadro, novello nuovo messia deputato a salvare il mondo. Chissà. Le ultime notizie davano l’opera in procinto di essere mostrata al Louvre nel 2019, in occasione di una mostra totale allestita per il cinquecentenario della morte di Leonardo. Pare che il principe saudita fosse disponibile a prestare l’opera solo se inserita nella medesima sala ospitante il capolavoro universale “Mona Lisa”. Al rifiuto del Museo la “generosa”offerta è stata ritirata e “Salvator Mundi” è tornato nuovamente nell’oblio di un’invisibilità permanente nel lusso arabo.
The Lost Leonardo, lungometraggio intelligente girato con una messa in scena molto tradizionale alternando interviste ed immagini ad hoc, ha comunque raggiunto il proprio obiettivo: coinvolgere lo spettatore e suggerirgli qualcosa a proposito delle gigantesche sperequazioni che affliggono un pianeta dove le distanze tra ricchezza smodata e povertà estrema si fanno sempre più abissali. E probabilmente, una volta giunti al punto di non ritorno, nemmeno la suprema bellezza dell’Arte riuscirà a salvarci.
Daniele De Angelis