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The Lodge

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VOTO: 6

Quando il gelo attanaglia e stritola l’esistenza di una famiglia

E’ sempre difficile per degli adolescenti accettare la separazione dei genitori, ancor di più lo è vedere come il proprio padre, dopo un poco, sostituisce la figura materna con una nuova compagna.
In The Lodge si parte esattamente da questo trauma vissuto da tante famiglie, seguendo i giovani Aiden (Jaeden Martell) e Mia (Lia McHugh) mentre, con sconcerto, osservano il loro amato genitore compiere scelte complesse da elaborare. Infatti Richard (Richard Armitage), decide non solo di lasciare la propria moglie Laura (Alicia Silverstone), ma richiede anche il divorzio quando decide di sposare la sua nuova, più bella e più giovane compagna Grace (la bravissima Riley Keough). La risposta di Laura è tremenda: si spara in bocca.
Con questo inizio in cui una situazione già drammatica sfocia nella tragedia, prende realmente il via il film, mentre vediamo Grace che, nonostante tutto, decide di insistere nella sua relazione con Richard e intende perfino fare finalmente pace con i suoi figli i quali, non sorprendentemente, la credono la principale responsabile del suicidio della madre. La ragazza comunque non ha un passato semplice, e Aiden e Mia non fanno fatica, grazie a Internet, a scoprire di cosa si tratti. Grace è infatti la figlia del leader di una setta religiosa che, molti anni prima, ha convinto i propri seguaci a seguirlo in un suicidio di massa, dopo averli caricati di sensi di colpa per i loro supposti peccati. Ella, ancora adolescente, sopravvive all’eccidio filmandone le raccapriccianti conseguenze ma riuscendo, evidentemente, a rifarsi una vita dopo la terribile esperienza. Senza che Richard lo sappia, però, per combattere contro gli atroci incubi che ancora la perseguitano, Grace è costretta a fare uso di psicofarmaci. All’avvicinarsi del Natale, viene presa la decisione di passare le feste nella casa di montagna, in quel grande, solitario “Lodge” che dà il titolo alla pellicola. E’ l’occasione che Grace stava cercando per avvicinare i ragazzi, per gettare le basi di un futuro che tarda ad arrivare, per farsi volere bene. Richard deve allontanarsi alcuni giorni prima della Vigilia per motivi di lavoro, lasciando da soli gli altri, sapendo che è l’occasione giusta per far sì che le persone che ama possano conoscersi e capirsi, fiducioso nella volontà e nella convinzione di Grace. Ma si sa, delle buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno. All’interno della solitaria abitazione cominciano presto a verificarsi inquietanti episodi, difficili da decifrare, sarà il caso di capire se dietro ci sia uno scherzo crudele o invece l’azione di entità maligne. E bisognerà fare presto, perché fuori una tormenta di neve non dà tregua e si rischia di rimanere imprigionati con persone che si odiano.
In questo film oscuro, dai ritmi lenti, i registi Veronika Franz e Severin Fiala, tornano a parlarci di temi difficili già affrontati nel precedente e apprezzato Goodnight Mommy (2014). I conflitti interni alla famiglia, i rapporti disturbati con le figue materne (sì anche tra Grace e la Vergine Maria), gli animi inquieti e fin troppo sensibili di bambini e adolescenti. Lo fanno sfruttando un sapiente uso dei primi piani, dei tempi mai frenetici ma attentamente studiati, della bellissima fotografia di Thimios Bakatis. Ci consegnano così una storia fatta di lunghe ombre, di atmosfere ossessive e glaciali, di sequenze che sembrano letteralmente emanare il freddo insopportabile che sentono i protagonisti stessi, circondati da un clima implacabile che riproduce lo stesso gelo emotivo che esiste fra gli abitanti del nero cottage fra le nevi.
Nonostante una notevole perizia registica e tecnica, e l’efficacia indiscutibile degli attori, la vicenda però sembra procedere lungamente, accentuando forse troppo i temi onirici, scegliendo di prendere gli spettatori per stanchezza. Quando è il momento di svelare cosa realmente si cela dietro gli strani episodi che tormentano i protagonisti, l’epilogo è ormai ben chiaro per tutti, inutile attendere una bella ma scontata sequenza di chiusura. Un finale ottimamente girato e studiato, perfino nei più minuti dettagli, per rimanere certamente impresso nel pubblico, ma che va a concludere una storia troppo arzigogolata nei suoi passaggi narrativi e logici.
Si ha la duplice e contrastante impressione di aver assistito ad una serie di avvenimenti eccessivamente semplici per essere raccontati in modo così tanto prolisso e, al tempo stesso, di aver visto una complessa trama carica di eventi evaporare poi in una soluzione che si può riassumere in pochissime righe.
Il talento del duo austriaco Franz-Fiala si conferma esserci, il loro primo film in lingua inglese è però un’occasione mancata.

Massimo Brigandì

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