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The King’s Man – Le origini

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VOTO: 6.5

Spie (quasi) come noi

Alla radice di una, ormai conclamata, saga cinematografica. Tra l’altro una delle migliori di questa seconda decade di nuovo secolo. C’era dunque bisogno di tornare agli albori del 1900 per conoscere la genesi di un servizio di intelligence con sorprendente spinta “dal basso”?
The King’s Man – Le origini prende vita, affatto casualmente, in Sudafrica, nel 1902, al tempo del secondo conflitto boero. La guerra come conflitto di classe. Una costante nel cinema di Matthew Vaughn, il quale, anche in questa occasione, torna ad insistere sull’argomento, come di consueto coadiuvato dal fumetto omonimo di Mark Millar e Dave Gibbons a fungere da base di partenza. Nel fantasioso – e tuttavia basato su fatti reali – passato distopico, messo in scena con la consueta brillantezza registica da Vaughn, s’immagina un mondo in cui la Storia è scritta da una congrega di personaggi negativi, una sorta di Spectre ante litteram con a capo una specie di Mister X del tutto insospettabile. Gente portata al male comune per proprio tornaconto personale. Persone di potere in grado, ad esempio, di creare i presupposti per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Al pari di Quentin Tarantino, si può ben immaginare quanto Matthew Vaughn si sia divertito a riscrivere, per l’appunto, la Storia con la S maiuscola. E, volendo, modificarla ad hoc nel suo corso acquisito. All’uopo si crea un movimento di forze positive e contrarie, capitanato, dopo varie avventure e peripezie, dal nobile britannico Orlando Oxford (Ralph Fiennes), pacifista di vocazione ma costretto all’intervento “fisico” da necessità troppo impellenti per non essere controbattute. A violenza, talvolta, è necessario ribattere con la medesima moneta. Nasce dunque un controspionaggio estremamente ramificato che può contare sulla forza “proletaria” delle varie servitù sparse per il mondo. Una perfetta utopia, dunque: nobiltà, alta borghesia e ceti bassi si saldano nella lotta contro i malvagi burattinai che gestiscono i destini del globo. Era già accaduto, del resto, in Kingsman: Secret Service, primo lungometraggio del ciclo in cui il giovane Eggsy, dallo status popolare, faceva il proprio trionfale ingresso nell’organizzazione, sia pure dopo un duro addestramento. Credere nei sogni cinematografici: quasi un mantra per Matthew Vaughn, come dimostrato anche nel riuscitissimo fantasy Stardust, da lui girato nel 2007.
Ancora una volta, dunque, il regista del primo Kick-Ass dimostra il suo talento assoluto nell’inquadrare come dovuto un’opera d’intrattenimento, arricchendola di sottotesti e varie chiavi di lettura certamente tutt’altro che innocue. Appare però evidente sin dalle prime battute del film quale sia il principale tallone d’Achille di The King’s Man – Le origini, ovvero la quasi totale assenza di carisma – ad eccezione della tata Polly, cui da vita una Gemma Arterton eroina femminista in anticipo sui tempi cinematografici – dei vari personaggi che compongono un mosaico comunque degno d’interesse. Uno spento Ralph Fiennes fa rimpiangere la classe recitativa di Colin Firth, mentre al figlio, nella diegesi, Conrad (interpretato dal poco convincente Harris Dickinson) manca del tutto la capacità di catturare empatia che possedeva òp sèavaldo guascone Eggsy interpretato da Taron Egerton. E non va meglio nemmeno analizzando la controparte, con un terribile Grigori Rasputin, ben noto monaco sui generis nonché influente consigliere dello Zar Nicola II, erotomane bisessuale caratterizzato da Rhys Ifans ben oltre le soglie della caricatura ed un gran cerimoniere del gruppo malvagio la cui identità, rivelata solo nel finale, possiede l’effetto di un palloncino che si sgonfia d’improvviso dopo una lunga preparazione.
Vedremo se e come procederà il ciclo dei Kingsman, ma alla produzione il consiglio che ci sentiamo di dare è quello di rimanere ben ancorati al presente, nonostante l’apparizione di un paio di sinistri personaggi storici di notevole rilevanza nel post scriptum durante i titoli di coda lasci presagire un ulteriore escursione all’indietro nel tempo. Forse la realtà più o meno attuale, con relativa riproposizione dei protagonisti originali, riesce a regalare maggiori spunti di riflessione di un passato un po’ ingessato, rappresentato in modalità divertissement sebbene con l’inconfondibile tocco di Vaughn, virtuosistico ed ammantato di evidente impegno civile. Ma stavolta non sufficiente a creare un’adeguata mitologia per una saga sin qui a dir poco elettrizzante.

Daniele De Angelis

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