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The Killers

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VOTO: 5,5

Un po’ di Hemingway e un po’ di Hopper

Tra le tante opere presentate in anteprima italiana alla 23esima edizione del Florence Korea Film Fest, la kermesse toscana ha ospitato anche la pellicola a episodi The Killers (Deo killeoseu) giunta in quel di Firenze dopo le proiezioni in importanti vetrine festivaliere come quelle del Sitges e di Rotterdam.
A firmare i quattro capitoli che la vanno a comporre altrettanti registi di provenienza, stile, esperienza e formazione diverse come Jong-kwan Kim, Myung-se Lee, Jang Hang-jun e Deok Noh. Quattro capitoli per altrettanti racconti e visioni differenti, ma con un unico comune denominatore a creare un filo rosso, ossia il romanzo omonimo di Ernest Hemingway che ha fatto da bussola e fonte d’ispirazione dalla quale i cineasti chiamati in causa hanno preso linfa narrativa e drammaturgica per creare le loro personali rivisitazioni. Da qui hanno preso forma e sostanza audiovisiva un poker di storie con protagonisti dei sicari a pagamento. Si parte con Metamorphosis di Kim Jong-kwan un uomo stanco si sveglia in un bar, dove incontra una barista che cambierà per sempre la sua vita. Si passa a Contractors di Roh Deok che ci porta al seguito di tre criminali che hanno quasi completato il loro compito di rapire la vittima, ma la missione sembra non portare a nulla. Si prosegue poi a Everyone Is Waiting for the Man in cui Chang Han-jun raduna un gruppo di sconosciuti che dopo l’orario di lavoro si avventurano alla ricerca di un misterioso assassino con un tatuaggio di un narciso. E last but not least Silent Cinema di Lee Myung-se che vede l’innesco di una serie di eventi bizzarri quando i dipendenti di un diner vengono sorpresi da tre gangster.
Tra umorismo nero, armi e sangue si materializza sullo schermo una maionese impazzita di generi che scomoda le pagine del libro dello scrittore statunitense del 1927 per poi prenderne le distanzecon reivenzioni e variazioni sul tema che vanno dal vampire-movie al thriller, dal noir al gangster-movie. Alcuni di questi tentativi come Contractors ed Everyone Is Waiting for the Man danno i loro frutti pur non brillando per originalità a causa di una natura fin troppo evocativa e citazionista, i restanti invece presentano fragilità strutturali e plot barcollanti che portano a risultati poco interessanti e meritevoli di attenzioni. Come spesso accade, e The Killers non fa eccezione, la discontinuità degli esisti è all’ordine del giorno nei cosiddetti film episodici, diventando il tallone d’Achille di operazioni simili.
Ciascun episodio andrebbe analizzato singolarmente per scovare pregi e difetti, ma in questo caso ci troviamo al cospetto di un omnibus nel quale i secondi superano di gran lunga i primi, motivo per cui ogni sforzo in tal senso può risultare un inutile e dispendioso spreco di tempo. Ci limiteremo dunque a ribadire quanto il contributo alla causa di Roh Deok e Chang Han-jun con i rispettivi capitoli serva quantomeno a bilanciare le mancanze dei colleghi, decisamente più propensi all’estetica che ai contenuti. I frammenti a loro affidati infatti altro non sono che degli esercisti di stile fini a se stessi, in cui l’esasperazione della messa in quadro tenta di distogliere il fruitore dall’assenza ingiustificata di idee di scrittura rilevanti. E a farne le spese è la nutrita colonia di interpreti chiamati a vestire i panni dei personaggi che animano le storie, a cominciare dall’onnipresente Shim Eun-kyung che si fa letteralmente in quattro per calarsi in tutti ruoli che le sono stati cuciti addosso. La sua versatilità e la capacità camaleontica della quale è dotata le permettono di portare a termine con efficacia i compiti che le sono stati assegnati in tutti gli episodi, ma le sue spalle non sono abbastanza forti per sopportare il peso delle suddette mancanze.
In definitiva l’assenza di una coesione tra i tasselli del mosaico si fa sentire. Nemmeno l’altra fonte d’ispirazione, stavolta visiva, che ha guidato la mano degli autori, vale a dire il celebre quadro “I nottambuli” di Edward Hopper e della sua pittura in generale, hanno riportato a galla il tutto. L’opera dell’artista statunitense rappresenta per i cineasti sudcoreani e i rispettivi D.O.P. una reference fotografica tanto nella composizione che nelle geometrie e nell’uso dei colori. Ma anche in questo caso un così nobile e importante ingrediente ha risollevato le sorti della ricetta.

Francesco Del Grosso

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