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The Iceman

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VOTO: 7

A sangue freddo

Tralasciando di approfondire il discorso sulle misteriose dinamiche distributive che hanno portato The Iceman all’uscita nelle sale italiane ben tre anni dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, in questo caso specifico calza a pennello il detto “meglio tardi che mai”. Perché The Iceman (2012), sin qui opera terza e di gran lunga migliore del regista israeliano Ariel Vroman, è davvero un buon film.
Almeno un paio le scelte effettuate in pre-produzione, che fanno oscillare l’ago della bilancia verso il parere positivo. La prima è di casting. Si vuole raccontare la storia del più prolifico killer prezzolato della cronaca nera statunitense? Allora niente di meglio che affidarsi al carisma lombrosianamente inarrivabile nonché al talento di un Michael Shannon perfetto per la parte. Non solo un interprete sensibile in grado di sdoppiare il suo personaggio – il “polacco” Richard Kuklinski, realmente esistito – emotivamente gelido omicida a pagamento provvisto di un codice d’onore (niente donne e bambini), ma pure amorevole – a modo proprio – padre di famiglia, nella rappresentazione molto americana che si ha del ruolo. Un autentico family man capace di compiere nefandezze in serie pur di assicurare a moglie e figlie, tenute ovviamente all’oscuro sulla sua attività, un tenore di vita all’altezza delle aspettative. Questa istanza portata avanti con sufficiente chiarezza della sceneggiatura scritta dello stesso Vroman e da Morgan Land, ci conduce al secondo punto in questione, ovvero la contaminazione della struttura narrativa con un’ineluttabilità da tragedia greca. Appare subito evidente, infatti, come le due dimensioni esistenziali vissute contemporaneamente da Kuklinski e da lui stesso tenute accuratamente separate, siano prima o poi destinate a confluire. Con effetti deflagranti. Il punto centrale di The Iceman è proprio questo: quali paletti etici è necessario fissare per rincorrere il proprio personale “american dream”? Ci voleva forse un regista non statunitense per osservare con un certo distacco socio-antropologico e conseguente vis critica una vicenda “esemplare” come quella di Richard Kuklinski, entrato nel libro nero della storia come autore di più di cento omicidi tra gli anni sessanta e settanta.
Proprio la sbalorditiva cifra di delitti fa correre al film il rischio di una certa ripetitività, una sorta di cinismo di fondo che mostri l’attività del protagonista alla stregua di un banale cartellino timbrato in un qualsiasi ufficio. E i momenti puramente transitori, a livello narrativo, in The Iceman non mancano. Ma anche in questo frangente, a salvare baracca e burattini, arriva provvidenziale la bravura di Michael Shannon, peraltro ben supportata dal resto di un cast che vede la presenza di Winona Ryder, Ray Liotta e un quasi irriconoscibile “Capitan America” Chris Evans nell’occasione in versione serial killer dal look per larga parte fricchettone a stemperare la cupezza del clima generale con qualche tocco umoristico. Se mai si dovesse attribuire un ipotetico premio all’attore maggiormente in grado di manifestare il sentimento cardine di questo nuovo millennio, cioè la paranoia da complotto e minacce varie, dopo i vari Bug (2006) di Wiliam Friedkin, My Son, My Son What Have Ye Done (2009) di Werner Herzog e Take Shelter (2011) di Jeff Nichols non ci sarebbe la benché minima competizione. E Michael Shannon è talmente bravo da non rischiare nemmeno di rimanere prigioniero del classico cliché capace di rovinarti un’intera carriera: basta puntare la macchina da presa sulla sua recitazione e mezzo film è in pratica già in porto. Per l’incontenibile felicità di registi e produttori vari.
Se ancora non si è provveduto per vie traverse – il principale rischio di distribuire in sala un film dopo così tanto tempo è proprio quello di non trovare più un pubblico di riferimento – The Iceman merita senz’altro la chance di un visione: se non altro perché, partendo da una storia vera, racconta l’incredibile parabola di un essere umano che solo nell’America terra di libertà individuale avrebbe potuto realizzare in pieno ciò per cui era sempre stato, forse senza nemmeno saperlo sino in fondo, portato.

Daniele De Angelis

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2 COMMENTS

  1. Le misteriose dinamiche distributive sono semplici:Creare una struttura di distribuzione ex novo in poco meno di un anno richiede molti sforzi di ogni genere e tipo.
    Sul fatto del “rischio” di portare in sala un film dopo due anni ( data uscita USA,per l’esattezza,è il 03 maggio 2013) mi é stato insegnato che … Chi non rischia non vince 😉 inoltre,i film non muoiono mai…
    Chiarito ciò, da Distributore del film, ringrazio per la recensione.
    Valentina Gardani.

    • Il mio era un discorso in generale. Sicuramente ci saranno dei buoni motivi – che ignoro – dietro il ripescaggio di “The Iceman”; ma il mio pensiero andava più che altro alle decine e decine di pellicole altrettanto buone e più recenti che non vedranno mai la luce di una sala. Ciò premesso auguro sentitamente che il rischio paghi, soprattutto perché di nuove realtà distributive abbbiamo in Italia un gran bisogno. Grazie per l’intervento.

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