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The Guide

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VOTO: 7

I tuoi occhi nei miei

Un film come The Guide (in originale Povodyr) è l’ennesima riprova che anche l’orrore e la follia umana possono fare dei giri immensi per poi ritornare lì dove si sono già abbattuti, lasciando una scia di morte, sangue e sofferenza. Ferite, queste, che nemmeno lo scorrere inesorabile delle lancette dell’orologio è in grado di rimarginare e cicatrizzare. La Storia ha nel suo dna il gene della ciclicità, di conseguenza pensando agli scontri e alle recenti tensioni tra Ucraina e Russia che stanno tenendo il mondo intero con il fiato sospeso è impossibile non tornare all’eccidio dei kobzar, annientati negli anni Trenta per ordine di Stalin che li riteneva elementi antirivoluzionari. Per la cronaca, si tratta di un menestrello cosacco ucraino suonatore di Kobza, uno strumento a corda della famiglia dei liuti appartenente alla tradizione musicale locale. I kobzar furono talvolta ciechi, ma lo stereotipo diffuso è che lo siano tutti. Andavano di villaggio in villaggio cantando i propri versi e secondo numerose fonti furono invitati a un convegno dove vennero fucilati in massa.
Quelle raccontate da Oles Sanin nella sua opera seconda sono pagine scomode che nessuno aveva mai raccontato cinematograficamente. È questo il grande merito della sua nuova pellicola che, dopo un fortunato tour nel circuito festivaliero che l’ha portata a rappresentare il proprio Paese agli Oscar nel 2014, si è aggiudicata una menzione speciale nella sezione Panorama Internazionale alla sesta edizione del Bif&St. Il regista ci porta nell’Ucraina del 1930. L’ingegnere Americano Michael Shamrock arriva a Charkiv col figlio di 10 anni, Peter, per aiutare a “costruire il Socialismo”. Si innamora di un’attrice, Olga, che ha anche un altro ammiratore: il Commissario Comunista Vladimir. In circostanze tragiche, l’americano viene ucciso, mentre suo figlio viene salvato dagli inseguitori da un “Kobzar” cieco. Senza alcuna possibilità di sopravvivere da solo in una terra straniera, il ragazzino diventa la sua guida. Il loro viaggio, pieno di avventure pericolose, attraversa una delle pagine più nere della storia ucraina e dell’abiezione umana.
Con le debite distanze, il modello che sembra seguire e replicare è quello dello spielberghiano L’impero del sole, con Sanin che s’ispira a fatti realmente accaduti per portare sul grande schermo un dramma storico di grande impatto visivo che parla della ricerca della libertà negata e della difesa delle tradizioni da parte di un popolo, epico nel respiro della messa in scena e della messa in quadro, intimista per quanto concerne il punto di vista del racconto (quello del giovane protagonista Peter), che ha nella regia eclettica e ricca di soluzioni stilistiche il motore portante. Caratteristica, questa, che avvicina il regista ucraino al più quotato collega russo Sergej Vladimirovič Bodrov. È, infatti, proprio la confezione estetico-formale, pregevole e curata, a rubare l’occhio dello spettatore (su tutte le scene degli incubi) e a sopperire alle mancanze di una sceneggiatura troppo stratificata e ridondante, costellata da brusche frenate causate da lunghe e futili digressioni (soprattutto nella parte centrale) che, oltre a rallentare la narrazione e il suo ritmo, appesantiscono la fruizione nel suo complesso. Il risultato è una saturazione drammaturgica che toglie efficacia e scorrevolezza a un’opera alla quale non mancano passaggi emozionanti e tesi (la violenza dei soldati su Onysia), che vanno di pari passo con altri che appaiono fini a se stessi (le sequenze d’azione che vedono il kobzar impegnato nella lotta con il bastone, sorta di parodia involontaria di Furia cieca).

Francesco Del Grosso

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