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The Golden Thread

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VOTO: 7,5

Senza mai perdere il filo

Realizzare documentari sui luoghi e nei luoghi in cui ancora persistono il lavoro pesante, l’apparato industriale con centinaia se non addirittura migliaia di dipendenti, le storiche aziende in cui la transizione tra i vecchi e i nuovi modelli produttivi è ancora in atto, può rappresentare una sfida notevole. Di sicuro l’ha vinta la film-maker indiana Nishta Jain, autrice di The Golden Thread ovvero di una ricognizione documentaria a 360° dell’industria della juta, giunta nel Bengala a un bivio sociale e occupazionale che meritava senz’altro uno sguardo così approfondito.
Se ne è accorta anche l’attenta platea del Bergamo Film Meeting 2024. Difatti, se il PREMIO DELLA GIURIA CGIL “LA SORTIE DE L’USINE” è andato a Murky Waters del danese Martin B. Gulnov, il PREMIO MIGLIOR DOCUMENTARIO CGIL BERGAMO è andata proprio a questa co-produzione tra India, Bosnia-Erzegovina, Paesi Bassi, Norvegia e Regno Unito datata 2022, in cui viene di continuo rievocato il periodo di massimo splendore dell’industria della juta, allorché milioni di persone nel Bengala si guadagnavano da vivere con questo duro lavoro rimasto praticamente immutato dai tempi della Rivoluzione industriale, per poi comparare la situazione di allora con un presente di gran lunga più modesto e saturo di contraddizioni.

Di questo quadro complesso Nishta Jain si è fatta carico girando un film altrettanto stratificato, pieno di sfumature diverse, che rimanda intanto alla grande tradizione del documentario industriale attraverso la metodicità delle riprese effettuate in fabbrica o altrove, giacché intenzione primaria della regista è stata filmare tutti gli aspetti della filiera produttiva, a partire dalla raccolta delle piante da cui verrà poi ricavata l’importante fibra tessile. Il risultato viene qui raggiunto attraverso immagini potenti, fortemente rappresentative ed evocative, il che genera inoltre un naturale collegamento coi lavori esteticamente più ricercati (e più maturi anche sotto il profilo etico) che si sono rapportati nel tempo all’indagine sul lavoro manuale pesante nelle varie aree del globo. Vedi ad esempio una pietra miliare di tale filone documentaristico come Workingman’s Death (2005) del compianto cineasta austriaco Michael Glawogger.
Ma attraverso singoli ritratti di lavoratori, spaccati corali, salvifici punti di fuga relativi ai giorni di festa, alle assemblee sindacali, alle disquisizioni di natura politica o ad altri spunti di aggregazione sociale, la cineasta indiana ha saputo curare con altrettanta passione uno sfondo in continuo movimento. Laddove pure la sostituzione con attrezzature più moderne delle macchine di inizio Novecento, fabbricate nel Regno Unito e ancora in uso nelle poche aziende della zona sopravvissute alla crisi, può portare a svolte dolorose, sul piano occupazionale e di un benessere della popolazione locale già messo a dura prova in vari modi.
Nel comparare poi di continuo la vita grama degli operai alle possibili aspirazioni di alcuni di loro, colti al crocevia tra la rassegnazione ai limiti imposti da una scarsa mobilità sociale e i sogni di realizzazione personale suggeriti magari da Bollywood, The Golden Thread cattura l’attenzione dello spettatore, lo spinge ad empatizzare con ciascuno dei volti che appaiono sullo schermo, affermando così una tensione etica non così dissimile, volendo, da quella che caratterizzava il nostro Neorealismo.

Stefano Coccia

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