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The Founder

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VOTO: 7.5

Only in U.S.A.

La rappresentazione del sogno americano, nel cinema statunitense, funziona assai meglio se viene mostrata anche l’altra la faccia della medaglia. In questo senso la parabola storico-narrativa sulla genesi della famosa catena di fast-food denominata McDonald’s assume un efficace significato metaforico sui modi in cui si muove il capitalismo a stelle e strisce. E il titolo del film, The Founder (per l’appunto Il fondatore), cela una serie di sorprendenti verità sulla vicenda, che vengono svelate con sapiente gradualità nel corso del lungometraggio. Fulcro dello stesso è il personaggio realmente esistito di Ray Croc – interpretato da un convincente Michael Keaton – uomo dal cognome onomatopeico se mai ce ne è stato uno. Il regista John Lee Hancock, di suo specializzato nel mettere in scena con una certa abilità determinate tematiche (ricordiamo a titolo di esempio il penultimo Saving Mr. Banks, The Blind Side o Alamo – Gli ultimi eroi), si conferma capace di scavare con una certa profondità nell’american way of life. Supportato da una notevole sceneggiatura di Robert D. Siegel (autore dello script del pluripremiato The Wrestler di Darren Aronofsky), The Founder riesce a far emergere la vera natura di Croc in meno di due ore di lungometraggio, raccontando con cognizione di causa nonché dovizia di particolari la più o meno irresistibile ascesa di un uomo passato nell’arco di qualche anno da frustrato rappresentante di frullatori a boss di un impero sia economico che alimentare, riconoscibile da un marchio popolare nell’intero globo. Attraverso un’opera che ha il pregio di tramutare quella che inizialmente – almeno per coloro che non sono a conoscenza della vera storia – pareva una delle rare favole imprenditoriali che da zero arrivano al cielo come limite, in una cruenta battaglia per il potere dove un approccio onesto e minimalista – quello dei fratelli Dick e Mac McDonald, reali inventori del sistema cosiddetto “espresso” nella preparazione dei cibi take away – sarà destinato ad essere inevitabilmente penalizzato in un mondo le cui acque sono infestate da coccodrilli (Croc, Croc: un nome, un senso compiuto) disposti a tutto per il guadagno.
The Founder possiede dunque il chiaro pregio di puntare il dito – nel modo peraltro gradevole e accattivante del tipico film hollywoodiano, sovrapponendo in questo senso il lungometraggio stesso allo slogan commerciale della catena di ristoranti: il nuovo rifugio della famiglia americana, come la chiesa o un qualsiasi altro luogo istituzionale – senza scivolare nel moralismo spicciolo. Anzi, l’impressione è che la storia (vera) messa in scena sia solo la punta di un iceberg designato a simbolizzare qualcosa di ineluttabile, il quale si manifesta attraverso un sistema minato nelle sue fondamenta. Il ricco prevale sul meno ricco a prescindere dal torto e la ragione, mentre dell’apparato legale che dovrebbe regolamentare tale questioni rimane solo un’impalcatura pronta ad essere facilmente aggirata una volta trovato l’escamotage. E il contrasto insito tra forma e contenuto del film altro non fa che aumentare l’inquietudine per ciò che accaduto e certamente succederà ancora nel comparto economico di una società che da nazionale è rapidamente divenuta globale a tutti gli effetti.
Del resto se una nazione, nota per essere storicamente la prima superpotenza in più settori, permette a un Donald Trump di accumulare ricchezze incommensurabili con chissà quali mezzi e, non paga di questo, gli consente pure di arrivare al vertice politico del paese, significa che rimane veramente poco di cui stupirsi. Per tali motivi un’opera come The Founder, al di là di qualsiasi lettura squisitamente critica, finisce con l’accrescere il proprio valore in una chiave anche didattica, facendo di Ray Croc una sorta di eroe nazionale e contemporaneamente il suo esatto contrario. Nel nome di una contraddizione con ogni probabilità del tutto irrisolvibile poiché, appunto, malata alla radice.

Daniele De Angelis

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