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The Fighters – Addestramento di vita

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VOTO: 7,5

Percorso iniziatico, percorso di guerra

Davvero una lieta sorpresa, l’esordio nel lungometraggio del giovane cineasta francese Thomas Cailly. Dopo averlo visto la pioggia di premi con cui è stato accolto il film, a partire dalla sua presentazione durante il festival di Cannes, ci sorprende relativamente. Tanto vale allora riassumere i principali riconoscimenti finora acquisiti, giusto a onor di cronaca: tre premi alla Quinzaine des Réalisateurs (Label Europa Cinemas, SADC, Art Cinéma Award) per ciò che concerne Cannes, più l’ambito Prix Louis Delluc per l’opera prima (attribuito in passato ad autori come Laurent Cantet, Céline Sciamma e Mia Hansen-Løve), cui si sono infine aggiunti ben tre premi César (Miglior opera prima, Migliore attrice protagonista a Adèle Haenel e Migliore promessa maschile a Kévin Azaïs).
Ne consegue, prima ancora di esplicare le ragioni del nostro entusiasmo per tale debutto, che distribuirlo anche in Italia è oggettivamente scelta assai sensata. Molto meno sensato (o quantomeno un po’ bislacco) ci è sembrato il titolo, per cui la distribuzione italiana ha poi optato: certo che per riuscire ad abbinare un titolo inglese e un sottotitolo italiano, ovvero The Fighters – Addestramento di vita, traducendo in tal modo il francese Les Combattants, ci vuole parecchia fantasia. Malata, però.

Comunque, lasciamo perdere subito i voli pindarici dei titolisti nostrani, per dedicarci invece alle cose sostanziali. The Fighters – Addestramento di vita resta uno dei racconti cinematografici più atipici, originali, camaleontici, che il grande schermo ci abbia recentemente proposto. L’azione è peraltro ambientata in territori fin qui poco visti al cinema: le Landes costituiscono una regione boschiva della Francia sud-occidentale che, a partire dal contrasto tra l’appeal turistico della costiera atlantica e l’aspetto più selvatico dell’interno, offre specificità geografiche non così comuni.
Questo particolare contesto paesaggistico e antropologico fa da sfondo a un altrettanto singolare percorso iniziatico. Ne sono protagonisti il giovane Arnaud e la bella ma apparentemente scontrosa Madeleine. Uno degli aspetti più intriganti dell’insolito racconto di formazione, che sembra quasi bearsi delle iniziali atmosfere sospese, statiche, sonnacchiose, è la curiosa inversione dei ruoli che prende lentamente forma nella storia.
Il pur fisicamente dotato Arnaud, grazie a quella tenerezza di fondo che non tarda a manifestarsi nelle increspature di un carattere schivo, forse poco comunicativo, si trova quasi sempre a dover rincorrere lo spirito intraprendente di Madeleine. Leale ma incline a studiare i più svariati complottismi, seducente per quanto mascolina, la prosperosa ragazza ha un’idea fissa nella testa: ricevere un addestramento da soldato, onde prepararsi meglio all’eventuale lotta per la sopravvivenza che un futuro dall’aria minacciosa potrebbe proporle. Ed è in queste circostanze che, a causa delle paranoie di lei, il sempre più accondiscendente Arnaud si trova coinvolto in un’avventura che, da aurorale percorso di iniziazione, si trasformerà ben presto nel classico percorso di guerra in uso nei campi d’addestramento militari.

Una delle qualità più evidenti del film di Thomas Cailly è la sfacciata naturalezza con cui mutano i toni della vicenda, gli scenari che le fanno da cornice, gli stessi riferimenti di genere, senza che però si disperda l’intensità carsica del rapporto tra i due protagonisti. Differenti registri riescono insomma ad alternarsi sullo schermo. La parte iniziale, oltre a rivelare tutta l’aderenza ai rispettivi ruoli dei due interpreti principali, Adèle Haenel e Kévin Azaïs, crea un clima di distacco e di sottile inquietudine, capace in certi momenti di ricordarci il cinema un po’ etereo della già citata Mia Hansen-Løve (compreso il carattere “cool” della colonna sonora). Anche nei film della regista, del resto, l’elemento naturalistico fa sovente capolino, sebbene in The Fighters – Addestramento di vita sia destinato ad assumere una valenza più selvaggia, più straniante, fino a quell’epilogo abile persino nell’accarezzare l’estetica del disaster movie!
Ed è perciò comprensibile che da un’opera del genere si resti piacevolmente sorpresi: come lo si resta, di fronte a una protagonista femminile in grado di aprire le bottiglie di birra coi denti.

Stefano Coccia

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